Al Teatro Della Cometa in roma andrà in scena dal 19 febbraio al 1° marzo: “NEANCHE IL TEMPO DI PIACERSI” di Marco Falaguasta, Alessandro Mancini eTiziana Foschi, con Marco Falaguasta e per la regia di Tiziana Foschi.

In scena Marco Falaguasta ricorda i ragazzi spensierati e felici negli anni 80, gli anni del boom economico nel quale si respirava l'ottimismo e la positività che sono diventati genitori in tempi pieni di incertezze, instabilità ma anche di progresso e connettività.

Cosa si portano dietro di quegli anni quei ragazzi, quanto è rimasto in loro di quello sguardo positivo con il quale aspettavano il futuro? Le nuove tecnologie e procedure che i figli utilizzano con disinvoltura, si sono inserite e hanno condizionato le loro abitudini e il loro modo di vivere la quotidianità? 

Nelle note di regia Tiziana Foschi ha scritto: «Quante volte ci siamo scoperti a pensare che eravamo meglio noi, con le nostre telefonate dal fisso o dalla cabina telefonica (quando cercavamo un po' d'intimità ed eravamo riusciti a trovare i gettoni necessari), le feste il sabato pomeriggio a casa con i genitori che controllavano che tutto filasse liscio, le nostre interminabili partite al subbuteo, gli occhialetti dell'intrepido, i giornaletti e le videocassette porno riposte nei nascondigli più improbabili. Noi che per comprare parlavamo con il commesso e non con il corriere. Però, magari, un secondo dopo, ci scopriamo a usare le app per noleggiare la macchinetta del car sharing o a rinnegare la moca per farci il caffè più rapidamente con la cialda. È complicato essere obiettivi con i nostri figli che giocano on line, che ci superano quanto a velocità di esecuzione e capacità di avvalersi della tecnologia per interagire, prenotare alberghi, cene, cinema, teatri ... noi che, tutto sommato, siamo un po' permalosi quando ci sentiamo dire dai ragazzi che non siamo abbastanza "social" perché pubblichiamo male, troppo, troppo poco con hashtag sbagliati. Noi che cominciamo a diventare sbagliati. Si, proprio così. È complicato ammettere che le nostre abitudini, soprattutto di pensiero, stanno diventando vecchie. È complicato accettare che dobbiamo essere noi ad avanzare verso loro e non pretendere che siano loro a tornare indietro verso noi.Quando ci dicono che questi erano gli stessi discorsi che facevano i nostri padri e prima ancora i nostri nonni, non ci stiamo. Non è possibile che anche noi siamo rimasti vittima dello stesso meccanismo. Noi, i ragazzi degli anni 80, con quel sorriso sempre stampato sul viso, vestiti in quella maniera così colorata, con i capelli cotonati, le spalline alle giacche e il giubbotto di pelle alla Fonzie, noi non ci saremmo dovuti cadere! Noi, no.E invece eccoci qui a commentare e lamentarci di una burocrazia sempre più arrogante e antagonista e di una società che consuma tutto talmente tanto velocemente che quello che avevamo comprato ieri è già vecchio, da buttare e da sostituire. Insomma a fare pensieri da cinquantenni, ma com'è possibile, che proprio noi ... siamo diventati cinquantenni. Eppure, se ci fermiamo un attimo e facciamo i conti, tutto torna.Allora tanto vale ridere di noi, cosi, forse, si rimane un po' più giovani.»

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