Quando Draghi il migliore nel maggio del 2022 ha fortemente criticato la misura fortissimamente voluta dai cinque stelle del bonus 110%, nessuno ebbe da ridire nulla. Ma si sa l'ex presidente della Bce godeva di un tale seguito da parte di giornali ed opinione pubblica, che qualsiasi cosa dicesse o facesse erra accolta con entusiasmo a prescindere.
“Possiamo non essere d’accordo sul Superbonus del 110%, e non siamo d’accordo sulla validità di questo provvedimento. Cito soltanto un esempio. Il costo di efficientamento è più che triplicato grazie ai provvedimenti del 110%”.
Queste le parole dell'ex premier, che aveva anche denunciato come la misura fosse stata scritta male e attuata peggio e che questo aveva ricadute pesanti sul bilancio statale. Una delle truffe più grandi della storia la definì addirittura il suo ministro dell'economia Daniele Franco. Ma il suo governo tecnico non aveva la forza di intervenire in maniera drastica su una misura che stava chiaramente uscendo fuori controllo e stava mettendo in serie difficoltà i conti pubblici, che già certo non godono di ottima salute.
Era chiaro che la patata bollente sarebbe passata nelle mani del nuovo governo. L'esecutivo, dopo l’approvazione del DL 176/2022, decreto Aiuti-quater il superbonus 2023 è stato quasi smantellato con l’agevolazione che scende dal 110% al 90%. Tale riduzione riguarda sia i lavori su edifici unifamiliari, comprese le villette, sia quelli su edifici condominiali.
Nello specifico, per i lavori condominiali il superbonus spetterà al 90% per le spese 2023 (non più al 110), 70% per le spese sostenute nell’anno 2024; 65 per cento per quelle sostenute nell’anno 2025. Stessa situazione si presenta anche per i lavori effettuati dai condomini e dalle persone fisiche su edifici composti da due a quattro unità immobiliari distintamente accatastate, anche se posseduti da un unico proprietario o in comproprietà da più persone fisiche. Cercando in questo modo di salvaguardare aziende e famiglie e cercando di mettere un argine alla spesa pubblica.
Ma purtroppo come ha descritto molto bene due giorni fa il ministro dell'economia, Giancarlo Giorgetti, occorreva intervenire in maniera drastica, considerando che la misura era costata fino ad ora 71 miliardi di euro alle casse dello Stato, qualcosa come 2000 euro a testa, neonati compresi [2.000 euro x 59 milioni di italiani dà come risultato 118 miliardi, ndr].
Ed ecco arrivare lo stop definitivo, una misura certamente impopolare così come quella sulle accise della benzina, ma che era necessario assumere per evitare il rischio di tracollo dei conti pubblici.
Questo come era prevedibile ha scatenato stampa ed opposizioni che gridano allo scandalo (ma si sa le opposizioni sperano evidentemente in un default che avevano paventato, in più di un'occasione, in caso di successo della Meloni) ma la decisone ancora una volta invece va compresa come un gesto di grande senso di responsabilità, che sta dimostrando il primo governo politico, dopo più di dieci anni, come ha anche riconosciuto il commissario europeo Gentiloni, del Pd, ospite della Gruber qualche sera fa.
Il governo di centrodestra da sempre accusato di non avere a cuore i conti pubblici, e di pensare solo a tutelare gli interessi di pochi, sta invece dimostrando di avere molto più responsabilità e coraggio in questo senso, di qualsiasi altro governo di centrosinistra (sui cinque stelle meglio stendere un velo pietoso). Certo ora bisognerà pensare a mitigare gli effetti sul comparto edilizio e sulle famiglie di una misura cosi drastica. Il governo è già al lavoro per correttivi e soluzioni, da discutere durante un tavolo don associazioni di categoria ed istituzioni già lunedì a Palazzo Chigi.
Ma certo è che poche volte come in questo caso si è assistito ad un governo che ha il coraggio di assumersi la responsabilità e il coraggio di prendere iniziative difficili, che potrebbero anche costare dal punto di vista elettorale, ma che sono necessarie e doveroso per salvaguardare il bene del paese e di quello delle generazioni future, già in buona parte compromesso da decenni di lassismo e di scelte politiche scellerate.
Per una volta invece si cerca di andare controcorrente, per cercare di dare un segnale anche all'Europa, di cui tanto la sinistra si riempie la bocca, prodomo suo, che la musica è cambiata e che il tempo degli sprechi e delle follie è finito. E cercare di dare tangibilità a questa cosa per un paese come il nostro, indebitato fino al collo e con in corso una trattiva serrata con l'Europa sui fondi del PNNR e su quelli di coesione, è ormai questione non più rimandabile.