Questo sabato, il tenutario del Partito Democratico Matteo Renzi, il senatore semplice pluritrombato, per ultimo alle scorse politiche del 4 marzo, ha concesso che si celebrasse l'Assemblea Nazionale del PD.

Un appuntamento per parlare della sconfitta elettorale, capirne le ragioni, rimboccarsi le maniche e ripartire per riconquistare gli elettori perduti. Si era già svolto a maggio, ma in quella data i delegati intervenuti da tutta Italia per parlare del dopo elezioni dovettero assistere ad una riunione il cui tema era "chi insulta meglio i 5 Stelle"?

Infatti, il tenutario del partito allora non era ancora pronto per presentarsi ai delegati come segretario in corsa per il prossimo congresso, troppo recente la sconfitta e non ancora insediato un governo su cui lanciare strali e distogliere l'attenzione dai propri fallimenti.

Invece oggi, per Matteo Renzi i tempi erano maturi per riproporsi come futuro segretario del partito. Ed è stato lui, infatti, ad aprire i lavori e a formulare questa analisi del voto, per spiegare la sconfitta del suo partito e della sua segreteria:



«Dieci ragioni per cui abbiamo perso.

Uno: sembravamo establishment, anzi lo eravamo.

Due: c’è un’ondata internazionale, la vogliamo vedere o facciamo finta di nulla?

Tre: le divisioni interne, un partito che fino a una settimana prima del voto litiga su tutto, non può vincere le elezioni.

Quattro: io non ho rinnovato abbastanza, soprattutto al Sud.

Cinque: mancanza di leadership, ci siamo abituati a giocare con falso nueve.

Sei: non abbiamo più dettato l’agenda, vedi ius soli, dove o si metteva la fiducia a giugno oppure si smetteva di parlarne; o vedi vitalizi, che si fanno o non si fanno; i voucher, se facciamo passare il jobs act come il padre di tutti i mali, poi non lamentiamoci se vince Di Maio.

Sette: i tempi e i toni della campagna elettorale, non è l’algida sobrietà che fa sognare un popolo.

Otto: ci siamo autoimposti il tema della coalizione, che non interessava a nessuno e che ha avvantaggiato solo il centrodestra.

Nove: non abbiamo spiegato abbastanza bene quello che abbiamo fatto, dal sociale ai diritti, siamo stati poco sui social dove si è sviluppata una campagna devastante.

Dieci: si dice abbiamo rappresentato il futuro in modo semplicistico, invece io credo che non l’abbiamo fatto. Il futuro per noi non può essere una minaccia, non può essere un futuro cupo e grigio, siamo una forza progressista che deve raccontare il futuro come un luogo bello dove andare.»

Renzi ha detto di tutto, ma non quello che doveva: si è dimenticato di dire che ha perso a causa delle sue fallimentari riforme che hanno aumentato il divario sociale e la povertà nel Paese, consegnandolo su un piatto d'argento ai partiti avversari. Un'arroganza, quella di Renzi, nel voler nascondere la realtà dei fatti che ha quasi dell'incredibile, se non addirittura del patologico. Una supponenza che va ben oltre la logica, tanto da sembrare spiegabile solo con la volontà di voler distruggere il partito.

I delegati intervenuti all'Assemblea hanno eletto Maurizio Martina da segretario reggente a segretario con pieni poteri e sarà lui a gestire la fase congressuale, da lui stesso aperta nel corso del suo intervento, con le primarie che verranno ancora una volta utilizzate per eleggere il nuovo segretario PD.

Così Martina è il segretario traghettatore, ma anche il segretario burattino, perché in tale situazione sarà ancora Matteo Renzi ad avere le redini del partito. E per chi ne avesse dei dubbi, legga allora le parole con cui ha chiuso il suo intervento: «Ci rivedremo al congresso, riperderete il congresso e il giorno dopo tornerete ad attaccare chi ha vinto.

Adoro stare sui contenuti e ragionare, per chi è in grado di ragionare mica per tutti… (in risposta a chi lo fischiava).

Vi suggerisco - rivolto ai suoi - di non cadere nelle provocazioni. Non si può sempre, comunque e soltanto, attaccare dall’interno. Perché così si aiuta la destra. Basta risse da cortile alle quali il nostro popolo non può più stare.

Io darò il mio contributo per la battaglia educativa e culturale contro chi vuol chiuderci nell’odio e nella paura. Fate il percorso che volete io ci sono, ma se il giorno dopo le elezioni si ricomincia daccapo il problema è quando si chiude il congresso, non quando si inizia.

Non siamo alla terza Repubblica ma non siamo nemmeno alla prima Repubblica in cui la corrente di un partito immagina di indebolire il leader per avere poi qualcosa di più. O ce ne rendiamo conto o perderemo la possibilità di incidere.»

5 Stelle e Lega non possono che ringraziarlo.