Era il 1985 quando la rivista americana National Geographic  pubblicò la foto che divenne la cover più famosa del mondo, grazie al volto di una ragazza afghana.  Il ritratto, tutt’oggi indelebile nella memoria collettiva, fu  il risultato vincente e inaspettato   del  fotoreporter  americano  Steven Mc Curry, all’epoca inviato in Pakistan.   Un'adolescente scovata per caso in un villaggio di profughi afghani all’interno di una scuola femminile, Sharbat Gula  che nella sua lingua significa “fiore d’acqua dolce”, divenne la “nuova MonnaLisa” per gli occidentali, icona del popolo afghano.

Il successo planetario  della foto e, di conseguenza, della rivista che la pubblicò,  fu grazie alla potenza dello sguardo e alla sua  capacità di comunicazione diretta con il lettore. Inquadrati   due occhi puri e limpidi come diamanti, lucenti e vibranti che trasmettono senza  filtri, incorniciati nell’ovale di una volto ricco di sofferenza, a sua volta racchiuso dentro una specie di chador rosso cupo, complementare dello sfondo verde.

La dodicenne aveva attraversato a piedi con la nonna ed i fratellini il confine fra Afghanistan e Pakistan, poiché rimasta orfana  a causa del bombardamento russo del 1979, eroina di una delle tante storie di triste nomadismo  e di fuga da una territorio all’altro, di guerre e sofferenze cicliche. Questa musa dell’arte occidentale, per oltre vent’anni non fu messa mai al corrente  della sua notorietà, ignorò  che il suo viso fosse conosciuto in tutto il mondo e mi domando  quali compensi avrebbero chiesto i modelli  d’occidente in seguito ad una cover così famosa ...


Il ritrovamento di Mc Curry e le nuove fotografie

Quando Mc Curry nel 2002 ritorna in Pakistan e dopo lunghe ricerche  scova Sharbat  per ritrarla nuovamente,  trova una donna sposata con tre figli, con tanto di burka  che vive in uno stato di povertà.

Nel 2016  la donna diventa oggetto di cronaca, poiché lo stato di bisogno  la spinge a falsificare alcuni documenti, come la carta di identità, per espatriare: reato che il tribunale di Peshawar  (Pakistan nord–occidentale) decise di farle pagare con 12 giorni di carcere ed una sanzione in denaro, in aggiunta all’espulsione  in Afghanistan.

“Mi impegno a fare tutto il possibile per garantire il sostegno legale e finanziario a lei ed alla sua famiglia. Mi oppongo al comportamento delle autorità nella maniera più decisa. Lei ha sofferto per tutta la vita ed il suo arresto è una smaccata violazione dei diritti umani” ,

affermò il fotografo Mc Curry  a sostegno di Sharbat che, ritornata a Kabul, nel 2017 riceve un'abitazione in segno di ringraziamento e riconoscimento.

Oggi, con la risalita dei talebani al potere, la storia aspetta “fiore d’acqua dolce” ancora al varco, lei e la sua foto del 1985, l’interrogazione di quei fantastici occhi  che chiedevano quale sarebbe stato il suo destino   personale e  quello del suo popolo, emblema di bellezza ma anche di irreversibilità della sorte; in Sicilia un noto proverbio recita “chi nasce rotondo non può morire quadrato”, che traduce l’impossibilità di trasformare i contenuti   che plasmeranno la forma di tutta l’esistenza.

Chissà se questa  collaboratrice d'Occidente che inconsciamente ha donato la copertina più famosa di tutti i tempi, con un click ritrovabile persino su wikipedia, avrà la gioia di smussare la durezza dei suoi tratti, di liberarsi di tutto il carico di sofferenza e ingiustizia subita:  basterebbe ricordarsi di lei e regalarle un volo di fuga per una vita migliore, in fondo se lo meriterebbe, anima bella.