Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Quello sopra riportato è l'articolo 3 della Costituzione. Difficile e probabilmente sbagliato fare una classifica degli articoli della Costituzione in base alla loro importanza, ma l'articolo 3 non è certo un articolo di poco conto, in special modo se riportato a quella che è la tendenza attuale di una parte della politica e della società italiana che sembra averlo dimenticato, dando l'impressione - se non la certezza - che, ad esempio, colore della pelle o religione possano costituire una preferenza in relazione ai diritti di un cittadino italiano.

L'articolo 3 ha fatto da bandiera all'esperienza elettorale poco fortunata di Liberi e Uguali, movimento nato per rappresentare la sinistra italiana che il Partito Democratico di Renzi aveva pensato bene di non voler più rappresentare. In una intervista a Repubblica, il segretario reggente del Pd, Maurizio Martina, ci fa sapere che per far ripartire il Partito Democratico è adesso necessario "interpretare l’articolo 3 della Costituzione, sulla rimozione degli ostacoli all’uguaglianza. Serviranno energie esterne al Pd, ma soprattutto un partito che torni a essere utile".

Per Martina, per conquistare il voto di coloro che prima votavano a sinistra non basta "semplicemente spostarsi a sinistra", come dimostrerebbe l'esperienza di LeU, è obsoleto ricorrere al blairismo, non basta più la socialdemocrazia. Quello che serve, dice lui, è "un po’ di radicalità nelle idee", "ripartire con una idea forte di comunità." E da qui il richiamo all'articolo 3 della Costituzione.

E questo, secondo Martina, dovrebbe rappresentare una risposta alla "domanda di cambiamento" che, in base alla sua analisi, avrebbe permesso ai 5 Stelle di fare il pieno dei voti al sud e di conquistare anche un po' di seggi nel resto del Paese.

Sono passate quasi due settimane dal voto e nessuno del Pd ha avuto la capacità di dire che pretendere di voler rappresentare la sinistra facendo poi delle riforme che persino la destra non aveva neppure avuto la forza e il coraggio di fare, non è stato così intelligente. E dato che la gente di sinistra si è sentita ovviamente truffata, ha finito per votare chi potesse rappresentare meglio i principi di giustizia sociale che una volta erano il cavallo di battaglia del PCI e dei partiti che ne hanno rappresentato la successiva evoluzione.

Non solo. Per consentire al Pd di conservare e allargare il proprio bacino di voti, Renzi ha cercato di crearsi delle clientele con gli 80 euro e, da ultimo, ha rincorso i voti degli statali con il (ri)rinnovo del loro contratto dando il via a ciò che era già stato concordato alla fine del 2016 e mai entrato in vigore nel 2017, con la candidatura di Carla Cantone per catturare i voti dei pensionati della Ggil...

Tutte "astuzie" politiche che non sono state sufficienti a far dimenticare che cosa fosse diventato realmente il Pd. E questo è solo una piccola parte di quello che finora non è stato detto per analizzarne la sconfitta elettorale, oltre ad essere la testimonianza che il Pd non può riformarsi, perché è ancora prigioniero del renzismo, in attesa di capire che cosa decida di fare, per l'appunto, Matteo Renzi.

Quindi, spazio all'ipocrisia, ai giri di parole, alle arrampicate sugli specchi, al negare l'evidenza e, soprattutto, allo sfuggire dalla concretezza delle analisi che valutino seriamente e realmente le conseguenze delle "magnifiche" riforme messe in atto dal 2014 ad oggi. Così, in attesa che Renzi faccia sapere ai suoi disgraziatissimi dipendenti che cosa abbia deciso di fare, il Pd continuerà a farsi scudo della sua ipocrisia tattica, a danno di se stesso e del Paese... per difendere poltrone, posizioni ed incarichi che, però, rispetto al passato sono oramai sempre più ridotti.