I suoi sostenitori lo hanno definito un colpo di Stato, mentre per l'opposizione l'annuncio di Evo Morales di dimettersi da presidente - seguito a quello di nuove elezioni dopo che l'OAS aveva riscontrato possibili brogli nelle presidenziali del 20 ottobre - rappresenta la fine della tirannia.
Morales ha dichiarato che se ne andava per proteggere gli alleati politici e le loro famiglie dopo che le loro case sono state incendiate, esortando i boliviani, in un discorso alla nazione trasmesso in tv, a smettere di attaccarsi tra loro.
Ma la decisione di Morales non è stata autonoma. Gli è stata "suggerita" dal capo dell'esercito, il generale Williams Kaliman, come unica via d'uscita "per consentire la pacificazione e il mantenimento dell'ordine pubblico".
I militari hanno anche dichiarato che inizieranno a "neutralizzare" tutti i gruppi armati che hanno provocato disordini e attaccato i manifestanti.
E in funzione dell'intervento dell'esercito, sono in molti a definire le dimissioni di Morales come un colpo di Stato di fatto, seppur in parte mascherato con le dimissioni "volontarie".
Oltre a Morales, si sono dimessi anche il vicepresidente Alvaro García e la presidente del Senato Adriana Salvatierra.
Il leader dell'opposizione Carlos Mesa, secondo alle presidenziali dello scorso ottobre, ha ringraziato i manifestanti per l'eroismo della resistenza "pacifica"... ma che pacifica, in realtà, è stata solo nelle sue dichiarazioni, come dimostrano gli assalti a numerose sedi istituzionali e ai loro rappresentanti in tutta la Bolivia.
Adesso, verrà scelto un presidente ad interim che ufficializzerà la data per le nuove elezioni e, soprattutto, dovrà cercare di riportare la calma in tutta la Bolivia.