L'aborto è un tema che torna continuamente alla ribalta, e giustamente tormenta. Oggi perché la destra al governo prova ad applicare le sue ideologie e vorrebbe limitarlo, contenerlo. Se ne sta parlando tanto. Purtroppo è un tema parecchio divisivo tra chi è a favore e chi contro; e ogni volta che se ne parla vengono fuori anche altre questioni scabrose, come quella dei medici obiettori.

Qualche giorno fa scrivevo un post che parlava del “dubbio”, come principio del pensiero, metodo scientifico, necessità per la scoperta, stile di vita. Dubbio che però non deve generare malfidenti che credono o non credono in base al nulla, o alla propria ignoranza, o per atti di fede. Sull'aborto basta riflettere e capire se ci siano dubbi che possono chiamarsi tali, o se sono solo bislacche speculazioni che puntualmente infastidiscono le donne e i loro diritti.

La legge sull'aborto non sarà probabilmente mai convalidata unanimemente, perché tale convalida necessiterebbe di una definizione scientifica inequivocabile su cosa sia “vita”, in senso biologico, e un'analoga posizione antropologica su cosa sia “vita”, in senso filosofico. Nel frattempo, il diritto delle donne ad autodeterminarsi è più che legittimo, perché non c'è prova che possa incidere nel diritto privato (del nascituro) o pubblico (della società), e dunque lo stato non avrebbe alcun interesse a intromettersi in questa scelta.

Vedete com'è semplice?
Tuttavia le ideologie politiche sono sempre in agguato per far discutere e lacerare quel poco di serenità che rimane in tempi già abbastanza duri. Proviamo pure a discuterne, ma in maniera seria e intelligente. Tentiamo un approfondimento completo che prenda in considerazione davvero tutto: scienza, filosofia e religione, e vediamo se è davvero possibile convalidare la conclusione anticipata, lasciando le donne in pace in un percorso già difficile che non è certo l'estrazione di un dente cariato! In pace, e possibilmente aiutandole come loro desiderano.

Non sarà un discorso breve, ma sarò estremamente sintetico.

Partiamo dalle questioni scientifiche.

La forma di “vita” più elementare, in senso biologico, è la cellula. Le necessità di un organismo vivente sono infatti ridotte a due elementi essenziali: essere in grado di nutrirsi e riprodursi. Dagli organismi unicellulari ed elementari come i batteri, fino a giungere a forme di vita pluricellulari e complesse come quella umana. Abbiamo anche il conforto degli studi condotti dal noto fisico Erwin Schrödinger (e altri), che alla fine sembrano escludere solo i virus da ciò che può considerarsi come un sistema vivente.

Quindi, scientificamente parlando, la prima cosa da sapere è che l'embrione fecondato è vita.
La seconda cosa da sapere è che anche una formica è vita, ed è enormemente più complessa dell'embrione fecondato. E ovviamente non c'è una legge che protegga la vita delle formiche nella dispensa delle nostre case. Sto dicendo che la formica e più importante dell'embrione? No, perché la formica non ha alcun potenziale evolutivo in nove mesi; un'operaia muore anche prima.

Il “potenziale” è ciò che interessa l'aspetto etico della biologia. In tal caso, la formica resterà tale e quale, mentre l'embrione ha appunto il potenziale di divenire un politico che poi vuol cambiare la legge sull'aborto. C'è, in sostanza, un meccanismo di vita abbastanza ignoto (a parte conoscerne la programmazione: RNA/DNA) che obbliga la scienza a dubitare ancora su cosa sia propriamente “vita”. Tra l'altro, secondo il biologo Hans Driesh, la vita non può essere spiegata da meccanismi esclusivamente fisico-chimici, ossia biologici, e dopo aver studiato a fondo le modalità di sviluppo degli embrioni pervenne alla cosiddetta teoria dell'immaterialità vitale, associandovi il principio aristotelico di “entelechìa” ("The science and philosophy of the organism", Londra 1929). Secoli prima di lui ci aveva già pensato Leibiniz a seminare il concetto di “entelechìa” come base di partenza della vita.

In sostanza la scienza si rimette alla filosofia, come è ovvio che sia.

Solo per completezza diciamo comunque che in senso stretto, secondo la scienza, la definizione sarebbe inequivocabile. E se ci riferiamo ad essa per convalidare la legge sull'aborto allora è chiaro che l'aborto è uccisione della vita. Ma come lo è, appunto, l'uccisione della formica. In senso più largo, con quel dubbio sul “potenziale”, l'embrione è considerato dalla scienza espressione di una quantità/qualità di vita incomparabile rispetto alla formica. E questo ci permetterebbe di dire che solo l'uccisione dell'embrione è grave. Ma da qui in poi dobbiamo proseguire in senso filosofico.

La vita secondo la filosofia.

Chiamiamo in causa nuovamente Cartesio, come abbiamo fatto qualche giorno fa sul “dubbio”.

E' proprio dal dubbio che discende la sua famosa affermazione «Cogito ergo sum!». Penso, dunque sono! Per Cartesio la consapevolezza di sé, ossia l'"autocoscienza", è sinonimo di esistenza e dunque di “vita”. Chi non pensa, semplicemente non esiste. Perché non è in grado di percepirsi, e dunque non esiste come consapevolezza di essere in vita: lui stesso e ogni cosa accanto a sé. Questo concetto lo possiamo assorbire meglio se pensiamo alle Intelligenze Artificiali (IA) di cui si parla tanto. Noi creiamo le macchine IA, le programmiamo, facciamo svolgere loro compiti molto complessi e spesso superiori alle capacità umane, e in tutto questo rendiamo tali macchine autonome. Ma pur esistendo in autonomia tali macchine non hanno la minima idea di esistere, né cognizione dell'esistenza altrui. Non hanno nemmeno il concetto stesso di “idea”.

Succede perché non sappiamo ancora come funziona l'autocoscienza; siamo solo in grado di individuarla come fa Cartesio, ma non sapendo i meccanismi che la determinano non possiamo infonderla alle nostre IA.
Dunque secondo la filosofia la vita sta unicamente nell'autocoscienza, ed è alquanto improbabile che una cellula sia autocosciente, pensante e capace di percepire e capire le cose e le altre cellule. Oltre all'uomo ci saranno forse degli animali che potrebbero esserlo, i primati ad esempio; magari anche i cani, i delfini, e tutti quegli animali che hanno un alto grado di interazione tra loro, con l'ambiente e con l'uomo stesso, con capacità di empatia, vaga presenza di sentimenti, e tutte quelle qualità insite nell'autocoscienza che evidentemente si determina a vari livelli e non solo nell'intelletto più elaborato.

Già il provare dolore fisico e manifestazioni di ogni altro genere: sentimenti di attaccamento, felicità, rabbia, etc., di cui molti animali sono capaci oltre il mero istinto, rende degna di riflessione la questione. E non è nemmeno difficile risalire la stringente ipotesi di Cartesio osservando che anche negli esseri umani maturi l'intelletto subisce sostanziali modificazioni, e queste modificazioni potrebbero portare a sostenere il concetto di “autocoscienza limitata”. Ad esempio le persone con problemi neurologici, gravi degenerazioni cognitive (specie negli anziani), malattie che limitano i cinque sensi, persone in stato vegetativo o comatoso con minima attività cerebrale.

Per nessuno di questi casi penseremmo di “staccare la spina” con leggerezza. Sarebbero tante le indagini e infinite le riflessioni per capire se una decisione pietosa non vada a ledere l'opposta volontà di chi vive in quel corpo e, pur essendo consapevole di sé, non riesce a manifestarsi e comunicare la volontà di continuare a esistere o meno. Specie perché nei casi originati alla nascita, l'individuo con problemi cognitivi più o meno gravi non ha un termine di paragone tra la vita limitata che vive e quella di un individuo sano.

Quindi si perviene alla stessa conclusione etico-scientifica, considerando tanto lo stato di massima coscienza di sé (Cartesio), di cui un embrione non può mai essere dotato (e nemmeno un neonato), a stati intermedi o anche minimi, dovuti a malattie, malformazioni o anche gli stadi iniziali di sviluppo. E su quest'altro versante poggiano le riflessioni di Driesh e Leibniz ancorati al principio (o monade) di “entelechìa”, vecchio di oltre 25 secoli!
Il pensiero della filosofia moderna è irrilevante ai nostri fini, perché non ha aggiunto nulla a questi due estremi ma si è occupata degli aspetti legati alla percezione e spiegazione del sé e delle cose (da Kant a Foucault, ne abbiamo tanti).

Possiamo infine riassumere tutte queste considerazioni.

  • A) Scienza rigorosa: L'aborto è un uccisione accettabile, in quanto un embrione qualsiasi è vita non specializzata il cui stato elementare è perfino inferiore a una formica adulta

  • B) Scienza etica: L'aborto determina l'interruzione dello sviluppo di una forma di vita ad alto potenziale, come quella umana, e quindi l'uccisione dell'embrione solleva un dubbio etico ancora irrisolto

  • C) Filosofia: Sebbene un embrione non abbia ancora sviluppato alcuna delle qualità, anche minime, che lo rendano organismo cosciente, dovrebbe comunque considerarsi come “organismo che mira a realizzare se stesso secondo leggi proprie che lo fanno passare dalla potenza all'atto” (entelechìa aristotelica)

La scienza è filosofia, e viceversa. E lo tocchiamo con mano in queste conclusioni dove potete chiaramente osservare che l'ultima (C) riunisce le prime due (A, B). E la conclusione univoca è dunque il DUBBIO!

Considerazioni finali e conclusioni.

Non sappiamo se facciamo bene o male a distruggere l'embrione impedendogli il naturale sviluppo. E' un problema etico-filosofico che al momento non ha soluzione. Il rapporto tra etica e politica ovviamente esiste, ed è governabile dalla politica stessa, ma laddove si interferisce con la vita indubbia - e in questo caso è quella della donna - la politica non può far altro che scegliere la “vita certa” (della donna) e arretrare su quella probabile (dell'embrione). Ogni forma di tutela di quest'ultima non può che essere di tutela, prima di tutto, della donna stessa, affinché compia la scelta migliore che essa ritiene. Una scelta oggi insindacabile.

Ogni altra ingerenza è inammissibile in uno stato democratico di diritto, e nasce evidentemente da ideologie contorte e ragioni di culto. Ed è questo che ora vorrei esaminare, prendendo ad esempio la religione Cattolica che è quella più seguita in Italia.

La Bibbia, vecchio testamento, non fa alcun riferimento esplicito all'aborto. E non c'è nemmeno un riferimento al momento in cui inizierebbe la vita. Tutti gli esempi presi a riferimento vengono interpretati - a mio parere - in maniera alquanto forzata, per far discendere che Dio considera la vita fin dal concepimento. Per esempio: «Prima che io ti formassi nel grembo ti conobbi […]» (Geremia 1:5). Ma quel “prima” potrebbe essere una condizione in cui Dio rivela la sua incontrastabile volontà di far nascere una vita, quando appunto nel grembo non si è ancora formato nulla.

La volontà di Dio sarebbe in tal caso incontrastabile, e non potrebbe dipendere dalle scelte dell'uomo, il cui libero arbitrio non può evidentemente collidere con un disegno divino specifico. Se quella vita deve nascere, allora nascerà!

Nemmeno Gesù - figlio - ha fornito indicazioni esplicite, ma ha portato amore smisurato. Tant'è che per amore s'è fatto crocifiggere. Nel messaggio coordinato di Gesù si potrebbe addirittura scorgere che solo l'amore genera vita. Ad esempio una violenza, come uno stupro o una forma qualunque di coercizione della volontà, non può determinare un concepimento per amore e dunque la vita che da esso dovrebbe originare. Badate bene che queste sono riflessioni assolutamente personali, che semplicemente ritengo coerenti con l'immanenza del potere divino e dell'amore che viene da esso. Poi l'uomo, con le religioni, ha talvolta interpretato e agito a modo proprio e spesso distorto, complicando questo semplice concetto.

Queste sono state delle semplici considerazioni per completare le nostre riflessioni. Vivendo in uno stato laico ciò che ritiene la religione non può interferire con i diritti delle persone. Le donne religiose, evidentemente, seguiranno quello che meglio avvertono nel proprio cuore. Per loro, ma anche per le laiche, una decisione del genere è indubbiamente legata al proprio stato etico e coscienzioso.

La questione, infine, dei medici obiettori è un falso problema.
Essi hanno pieno diritto di opporsi a una pratica che dal punto di vista etico o religioso ritengono scorretta. Ovviamente non ce l'hanno nel momento in cui quella pratica è necessaria a salvare una vita certa (aborto terapeutico). Perché prima di tutto sono medici e devono salvare vite certe, e non probabili.
La rimanente parte del problema si risolve imponendo, per legge, un tetto minimo di medici specialisti che non può obiettare alcunché. Ciascuno sceglierà se far parte o meno di una tale “task force”, ma è necessario garantire alle donne tutta l'assistenza e professionalità necessaria a concludere in sicurezza la loro eventuale scelta di abortire.

Bene. Eravamo partiti dicendo che sull'aborto bastava riflettere e capire se c'erano dubbi che potevano chiamarsi tali, o se si trattasse solo di bislacche speculazioni. Beh, i dubbi ci sono eccome! Ma non possiamo risolverli per legge sulla pelle di una vita certa e reale, che è quella della donna. L'unica che può compiere tale scelta sulla propria pelle è proprio la donna. E va assolutamente rispettata perché non abbiamo alcuna verità da opporre: LIBERO ARBITRIO!

Siamo tutti gocce di vita che hanno avuto una chance per diventare mare.
Un mare calmo, però. Non in tempesta.


📸 base foto: S. Hermann / F. Richter da pixabay