Nel Belpaese il dibattito sulle pensioni sembra essersi dissolto nel nulla, avvolto da un silenzio che lascia spazio a un’amara rassegnazione. Politica, sindacati e media evitano di affrontare il tema, quasi fosse una questione ormai chiusa. Eppure, la situazione pensionistica del nostro Paese non potrebbe essere più urgente: età pensionabile elevata, assegni insufficienti, e una prospettiva che non offre sicurezza ai lavoratori. Questo silenzio non è solo preoccupante, ma anche ingiusto, perché tradisce i diritti e le aspettative di milioni di cittadini.

Oggi l’età pensionabile in Italia è fissata a 67 anni, con la concreta possibilità che venga ulteriormente innalzata. Questo dato non solo è uno dei più alti in Europa, ma rappresenta una palese violazione del principio di equità intergenerazionale. Lavoratori che hanno contribuito per decenni al sistema previdenziale si trovano a dover affrontare una vecchiaia incerta, spesso con assegni pensionistici che non permettono una vita dignitosa.

Dietro l’apparente indifferenza di chi decide della nostra vita, si nasconde un cinismo strutturale: allungare l’età pensionabile equivale a imporre ai lavoratori un sacrificio estremo, spingendoli al limite delle loro forze e lasciando intravedere un crudele paradosso: chi ha lavorato una vita intera rischia di non poter mai godere del proprio diritto alla pensione, in un calcolo cinico dove lo Stato risparmia sulla pelle dei suoi cittadini.

Insomma, allungare l’età pensionabile è una strategia spietata per far crepare i lavoratori prima che possano tagliare il traguardo della pensione, trasformando un diritto guadagnato in una corsa contro il tempo che molti non riusciranno mai a vincere.

È difficile non vedere in questo un calcolo economico freddo, cinico e disumano: meno pensionati arrivano ad incassare la pensione e meno soldi deve sborsare lo Stato.

Il disinteresse della classe politica per il tema pensionistico è emblematico della distanza tra chi governa e chi lavora. Mentre i parlamentari godono di trattamenti pensionistici privilegiati, ai cittadini comuni si chiedono sacrifici sempre maggiori. Questo squilibrio alimenta una crescente sfiducia nelle istituzioni, percepite come incapaci o non interessate a rappresentare i reali bisogni della popolazione.

Non meno colpevole è il ruolo dei sindacati, che negli ultimi anni hanno mostrato una preoccupante incapacità di porre il tema delle pensioni al centro della loro agenda. La loro funzione dovrebbe essere quella di difendere i lavoratori, di mobilitarli, ma il loro silenzio contribuisce a perpetuare uno status quo ingiusto.

La richiesta di un’età pensionabile non superiore ai 65 anni, accompagnata da assegni pensionistici commisurati agli ultimi stipendi, non è un capriccio né un’utopia. È una proposta che riconosce il valore del lavoro e il diritto a una vecchiaia serena. In un Paese che invecchia rapidamente, garantire pensioni dignitose non è solo un atto di giustizia sociale, ma anche una necessità economica: pensionati con una capacità di spesa adeguata contribuiscono al benessere generale dell’economia.

Non possiamo accettare che il tema delle pensioni venga relegato ai margini del dibattito pubblico. È tempo che governo e sindacati affrontino la questione con serietà e trasparenza. Un sistema pensionistico equo e sostenibile non è un’utopia, ma una necessità per garantire dignità e rispetto a tutti i lavoratori italiani. Perché in gioco non ci sono solo due anni di lavoro in più, ma il diritto ad una vita vissuta con dignità, anche dopo una lunga carriera.