NATO e Comunità Europea sono solo delle etichette (seconda parte)
La vastità del territorio, la ricchezza di materie prime, il livello di alfabetizzazione elevata in rapporto alla densità della popolazione sono gli elementi che determinano lo stato di benessere e il conseguente livello della qualità della vita di una collettività. Sono convinta che questa non è la chiave di lettura per conoscere la reale situazione generale di un paese invece si deve prendere in considerazione il tasso di povertà presente in una società.
La storia della Comunità europea è molto breve, inizia a Parigi dove il 18 aprile 1951 viene firmato il trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), alcuni anni dopo esattamente il 25 marzo 1957 con la firma del Trattato internazionale (TCEE) che istituisce la Comunità economica europea (CEE) e del Trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica (TCEEA) - insieme denominati Trattati di Roma - nasce una comunità economica ma non politica dove gli alleati potevano dettare le loro regole ai membri più deboli il tutto sotto la supervisione dell’amministrazione americana che interferiva politicamente e militarmente attraverso la NATO.
Il 7 febbraio 1992 (dopo la caduta del muro di Berlino e l’apertura di Gorbaciov ai Paesi europei occidentali) con il nuovo Trattato di Maastricht, quella che fino ad allora si chiamava Cee (Comunità economica europea) diviene Unione Europea. I vari trattati hanno un contenuto esclusivamente economico a favore dell’imprenditoria affaristica “da asporto”, emerge inoltre che sin dagli anni ’50 vi sono stati tra i nove firmatari due membri, la Francia e l’Inghilterra (poi si aggiunse la Germania), che nell’ambito del mercato comune hanno curato i loro interessi a danno degli altri Paesi.
Sin dall’inizio Infatti il rapporto continuativo tra gli stati membri non ha portato nulla di positivo al nostro Paese, l’eliminazione del Presidente dell’ENI Enrico Mattei ha dato inizio ad un processo degenerativo economico, politico e culturale della nazione che ha portato ad una destrutturazione industriale, alla svendita del patrimonio pubblico, ad un progressivo aumento del debito pubblico determinato da sprechi, corruzione e impunità: il risultato di questo sviamento dai più elementari principi morali, dai canoni di correttezza, trasparenza e buon governo sono già più di dieci milioni di cittadini ridotti in povertà.
Partiamo da un dato attuale a livello europeo: L'UE copre oltre 4 milioni di km² e conta 448,4 milioni di abitanti. I dati in esame sono recentissimi.
L’anno scorso, l’Eurostat rendeva noto che nell'Unione europea 95,3 milioni di persone, pari al 21,6% della popolazione, erano a rischio di povertà o di esclusione sociale, il dato è rimasto stabile rispetto al 2021, quando erano 95,4 milioni le persone a rischio.
Lo stesso ufficio di statistica sottolinea che il rischio di povertà o esclusione sociale "è più elevato" per le donne rispetto agli uomini (22,7% rispetto al 20,4%) e oltre un quinto (22,4%) delle famiglie europee con figli a carico è a rischio.
I Paesi membri che risultano più penalizzati sono la Romania (34%), Bulgaria (32%), Grecia e Spagna (entrambe al 26%).
L'Italia è al 24,4%, con 14,3 milioni di persone a rischio pari a quasi un quarto della popolazione.
Le quote più basse sono state registrate in Repubblica Ceca (12%), Slovenia (13%) e Polonia.
Tra i Paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’ex Patto di Varsavia vi sono delle enormi disparità che ancora sussistono dopo quasi trent’anni di convivenza e offrono all’imprenditoria occidentale motivo di facile arricchimento, a questo punto c’è da chiederci quali sono stati i reali motivi che hanno spinto paesi così radicati nel loro spirito “nazionalistico” ad unirsi per dare vita ad un’alleanza che ha favorito solo alcuni a danno di altri: la moneta unica ha fortemente destabilizzato l’economia del nostro Paese a favore della Germania che ha richiesto al governo pro tempore un cambio sfavorevole per 1 euro L. 1936, ancora ricordo la mia prima spesa al solito supermercato, passai da L. 70.000 a € 70.00 tradotto in lire 135.520, anche questa operazione causò un ulteriore aggravamento delle condizioni delle fasce più deboli e da quel giorno mi resi conto che gli italiani iniziarono a non sorridere più.
L’attuale governo ha continuato e peggiorato l’impiego delle risorse europee ottenute dall’ex premier Conte, la sperata uscita dal ristagno economico che dura da decenni provocata dalla politica confindustriale è solo una pura illusione: ripresa e resilienza, transizione ad una economia green, creazione di nuovo lavoro e relativo aumento dell’occupazione sono ormai parole prive di significato.
Cosa si sono inventati gli ultimi due governi per creare le condizioni di invivibilità per altri milioni di cittadini italiani e mantenere i loro onorevoli fondoschiena attaccati agli scranni: hanno tutelato la classe medio alta e abbandonato il resto alla deriva della precarietà e dello sfruttamento.
Prevedo che alla fine del 2024 circa un terzo della popolazione sarà condannata ad entrare nelle file degli indigenti.
Prendendo per buoni i dati dell'Istat riportati nel Report su reddito e condizioni di vita 2021-2022 una persona su quattro è a rischio di povertà.
Testualmente: “Nel 2022 il 20,1% delle persone residenti in Italia risulta a rischio di povertà (circa 11 milioni e 800mila individui) avendo avuto, nell'anno precedente l'indagine, un reddito netto equivalente, senza componenti figurative e in natura, inferiore al 60% di quello mediano (ossia 11.155 euro). A livello nazionale la quota di popolazione a rischio di povertà rimane uguale all'anno precedente (20,1%).
Il 4,5% della popolazione (circa 2 milioni e 613mila individui) si trova in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale, ossia presenta almeno sette segnali di deprivazione dei tredici individuati dal nuovo indicatore Europa2030. Rispetto al 5,9% del 2021, sottolinea l'Istat, "vi è una decisa riduzione delle condizioni di grave disagio, grazie alla ripresa dell'economia dopo la crisi pandemica e l'incremento dell'occupazione e dei redditi familiari".
La riduzione della percentuale di popolazione in condizione di grave deprivazione materiale e sociale è marcata al Nord-ovest e al Centro. Inoltre, il 9,8% degli individui vive in famiglie a bassa intensità di lavoro (indicatore Europa 2030), ossia con componenti tra i 18 e i 64 anni che nel 2021 hanno lavorato meno di un quinto del tempo, percentuale in riduzione rispetto al 10,8% del 2021, come conseguenza delle migliori condizioni del mercato del lavoro. A dimostrazione di quanto appena affermato dall’Istat, “estirpata la malerba” del Reddito di Cittadinanza, ad esempio il settore turistico è immediatamente rifiorito infatti “il lavoro nel turismo è per il 70% irregolare, per il 60% a tempo parziale, per il 55% a chiamata, per il 40% precario e per il 20% stagionale “. E le retribuzioni “sono notevolmente inferiori rispetto alla media degli altri settori economici e produttivi: basti pensare che l’80% dei lavoratori è inquadrato ai livelli più bassi dei contratti nazionali di settore”.
La popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale, ovvero la quota di individui che si trova in almeno una delle suddette tre condizioni (riferite a reddito, deprivazione e intensità di lavoro), è pari al 24,4% (circa 14 milioni 304 mila persone), sostanzialmente stabile rispetto al 2021 (25,2%)”.
Questo non è un paese per vecchi, meno vecchi, disabili, malati gravi, donne, mari puliti, cibo sano, tutela della salute e della natura, boschi, trasparenza e onestà, giovani, bambini, cinghiali, orsi, idealisti, liberi pensatori, balene, orche marine, cani, gatti…