PREFETTURA DI GROSSETO
UFFICIO DI P.S. IN PAGANICO
COMUNICATO

Si riproduce testo del manifesto lanciato agli sbandati a seguito del decreto del 10 Aprile:

Alle ore 24 del 25 Maggio scade il termine stabilito per la presentazione ai posti militari e di Polizia Italiani e Tedeschi, degli sbandati ed appartenenti a bande. Entro le ore 24 del 25 Maggio gli sbandati che si presenteranno isolatamente consegnando le armi di cui sono eventualmente in possesso non saranno sottoposti a procedimenti penali e nessuna sanzione sarà presa a loro carico secondo quanto è previsto dal decreto del 18 Aprile. I gruppi di sbandati qualunque ne sia il numero dovranno inviare presso i comandi militari di Polizia Italiani e Tedeschi un proprio incaricato per prendere accordi per la presentazione dell’intero gruppo e per la consegna delle armi. Anche gli appartenenti a questi gruppi non saranno sottoposti ad alcun processo penale e sanzioni. Gli sbandati e gli appartenenti alle bande dovranno presentarsi a tutti i posti militari e di Polizia Italiani e Germanici entro le ore 24 del 25 maggio.
Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena. Vi preghiamo curare immediatamente affinché testo venga affisso in tutti i Comuni vostra Provincia.”

p. il Ministro Mezzasoma – Capo Gabinetto
GIORGIO ALMIRANTE
Dalla Prefettura 17 Maggio 1944 – XXII


Parte dei seguenti contenuti è tratta da Wikipedia:

Il manifesto fu pubblicato il 27 giugno 1971 dal quotidiano l'Unità col titolo Un servo dei Nazisti. Come Almirante collaborava con gli occupanti tedeschi.

Almirante rispose con un consistente numero di querele, sostenendo che si trattava di «una vergognosa campagna stampa» e di «un'ignobile infamia».

Il procedimento principale, con sede a Roma, venne istruito dai pubblici ministeri Vittorio Occorsio e Niccolò Amato e andò avanti per ben sette anni. Almirante oppose un gran numero di eccezioni, ma nel giugno del 1974 vennero rinvenute negli Archivi di Stato e prodotte in giudizio inequivocabili prove documentali attestanti la veridicità del documento:

  • il documento originale recante la firma di Almirante, la lettera della Prefettura che accompagnava l'invio dei manifesti e la missiva del Vicecommissario Prefettizio che dava conferma dell'affissione.
  • un telegramma risalente all'8 maggio 1944 firmato proprio da Almirante - all'epoca Capo di Gabinetto del Ministero della cultura popolare - in cui si sollecitava l'affissione del manifesto in questione in tutti i comuni della provincia di Grosseto;
  • una circolare dello stesso periodo in cui Almirante disponeva - in quanto curatore della propaganda del Decreto Graziani (che disponeva, appunto, le modalità di repressione dei gruppi partigiani) - anche la divulgazione delle comunicazioni delle autorità tedesche in materia.

Il procedimento si concluse con il rigetto integrale delle pretese di Almirante nei confronti dei giornalisti de L'Unità, poiché risultava che i giornalisti avevano "dimostrato la veridicità dei fatti" e che dunque il manifesto rivolto agli sbandati era da attribuirsi proprio ad Almirante.

Tutto qua? No.

Dal 1938 al 1942 Giorgio Almirante fu segretario del comitato di redazione della rivista antisemita e razzista La difesa della razza, che pubblicò il Manifesto della Razza nel 1938 e con cui collaborò fin dal primo numero. Il 5 maggio 1942 Almirante scriveva sulla stessa rivista:

«Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d'una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c'è che un attestato col quale si possa imporre l'altolà al meticciato e all'ebraismo: l'attestato del sangue».

Come ci ricorda il documento ad inizio articolo, Giorgio Almirante aderì alla Repubblica di Salò, arruolandosi nella Guardia Nazionale Repubblicana con il grado di capomanipolo, equivalente a tenente. Il 30 aprile 1944 fu nominato capo gabinetto del ministero della Cultura Popolare presieduto da Fernando Mezzasoma.

L'adesione di Almirante al fascismo non era quella di tanti giovani italiani cresciuti durante il ventennio e manipolati dalla propaganda di regime. Almirante era convintamente fascista e lo rimase proponendone una riedizione compatibile con l'Italia post-bellica tramite la fondazione del Movimento Sociale Italiano, di cui divenne segretario nel 1947. Già prima, insieme a Pino Romualdi e Clemente Graziani, aveva costituito  i Fasci di Azione Rivoluzionaria.

E  della strage di Peteano non ne vogliamo parlare?

In seguito alle indagini sui fatti di Peteano, il terrorista neofascista Vincenzo Vinciguerra - reo confesso per la strage - rivelò nel 1982 come Almirante avesse fatto pervenire la somma di 35.000 dollari al terrorista Carlo Cicuttini, dirigente del MSI friulano e coautore della strage, affinché modificasse la sua voce durante la sua latitanza in Spagna mediante un apposito intervento alle corde vocali: tale intervento si rendeva necessario poiché Cicuttini, oltre ad aver collocato materialmente la bomba assieme a Vinciguerra, si era reso autore della telefonata che aveva fatto cadere in trappola i carabinieri. La sua voce era stata identificata confrontandola con la registrazione di un suo comizio ad una manifestazione del MSI.

Nel giugno del 1986, quando vennero alla luce i documenti che provavano il passaggio del denaro tramite una banca di Lugano, il Banco di Bilbao e il Banco Atlantico, Giorgio Almirante e l'avvocato goriziano Eno Pascoli vennero rinviati a giudizio per il reato di favoreggiamento aggravato verso i due terroristi neofascisti. Pascoli verrà condannato per il fatto nel 1987; Almirante invece, si fece più volte scudo dell'immunità parlamentare, all'epoca ancora riconosciuta a deputati e senatori, per avvalersi poi di un'amnistia poco prima dell'inizio del processo, nonostante la legge prevedesse già da molti anni la possibilità di rinunciarvi, proprio al fine di tutelare il diritto dell'imputato all'accertamento dei fatti.

A tutto questo si potrebbero aggiungere le accuse di contiguità con ambienti dell'eversione nera e i rapporti con la P2 di Gelli... 

Un bell'elenco di benemerenze che secondo gli estremisti di destra odierni, in primis Lega e Fratelli d'Italia, legittimerebbero la pretesa di dedicare a Giorgio Almirante le strade di mezza Italia. 

E Giorgia Meloni, in occasione dell'anniversario della morte, avvenuta il 22 maggio del 1988, lo celebra così:

Coraggio, coerenza, onestà. Sono questi i valori che Giorgio Almirante ci ha lasciato in eredità e che dobbiamo onorare ogni giorno. A 33 anni dalla sua scomparsa, la Destra italiana ricorda un grande politico e Uomo.

I valori che Almirante ha lasciato in eredità a Giorgia Meloni sono stati elencati in precedenza e si richiamano tutti al credo fascista che coerentemente - questo gli va riconosciuto, anche se non sembra un grande merito - Almirante non ha mai rinnegato.

Qualche "annetto" fa un certo Aristotele, che oggi a buon diritto  viene considerato il creatore della logica, si inventò il sillogismo: «un discorso nel quale, poste alcune cose, ne derivano necessariamente certe altre, per il fatto stesso che quelle sono state poste».

Da Treccani:

Il sillogismo è costituito da tre proposizioni, e cioè da due premesse (una maggiore e una minore), cui segue di necessità la conseguenza. Per esempio, date le due premesse: «l’uomo è animale» e «Tizio è uomo», ne segue l’ulteriore inferenza: «dunque, Tizio è animale».

Pertanto ne deriva che se Almirante è sempre stato un  fascista e Giorgia Meloni continua a tesserne le lodi, anche Giorgia Meloni è fascista.

A questo punto, è legittimo chiedersi se sia normale che in Italia una fascista, oltre che occupare un seggio in Parlamento, pretenda anche di diventare presidente del Consiglio, che una casa editrice, la Rizzoli, ne pubblichi un'autobiografia con fini propagandistici e che i media la promuovano con interviste del tipo "in ginocchio da te".

Va bene tutto... ma adesso anche basta!