Sono ulteriormente aumentate le manifestazioni in tutto il Myanmar dopo che un dirigente dell'LND, il partito della deposta leader Aung San Suu Kyi, è morto la notte scorsa, dopo essere stato arrestato, in circostanze che la polizia si è rifiutata di chiarire.

Khin Maung Latt, fermato dalla polizia  sabato sera mentre si trovava nella sua casa di Pabedan (a Yangon), questa mattina è stato riconsegnato ai familiari morto, con la testa ricoperta di sangue.


E se questa domenica le manifestazioni di protesta sono riprese nelle principali città con più forza di prima, le forze dell'ordine stanno cercando di contenerle con ancor più violenza, utilizzando gas lacrimogeni, granate assordanti e proiettili veri, come hanno dichiarato dei testimoni che partecipavano ad una protesta tenutasi a Bagan.


Inoltre, nella scorsa notte, altre persone in vista, oltre a Khin Maung Latt, sono state arrestate dalla polizia in un'operazione di rastrellamento per colpire quanti sono stati individuati come trascinatori della protesta. 

Secondo una ong che si occupa di assistere i prigionieri politici, sarebbero oltre 1.700 le persone arrestate sabato dalla giunta militare.


Il quotidiano di Stato, Global New Light Of Myanmar, ha riportato una dichiarazione della polizia secondo cui le forze di sicurezza stavano affrontando le proteste in base a quanto consentito dalla legge, usando gas lacrimogeni e granate assordanti per interromperle e consentire nuovamente la circolazione sulle strade pubbliche.


In una dichiarazione rilasciata alla Reuters, il lobbista israelo-canadese Ari Ben-Menashe, "assunto" dalla giunta militare per avviare relazioni con le diplomazie estere, ha detto che i generali non gradivano il fatto che Aung San Suu Kyi si fosse avvicinata troppo alla Cina e che il loro intento non è quello di occuparsi di politica, auspicando di migliorare le relazioni con gli Stati Uniti.

Ben-Menashe ha dichiarato anche di essere stato incaricato di cercare il sostegno arabo per un piano di rimpatrio dei rifugiati Rohingya (di religione musulmana), centinaia di migliaia dei quali sono stati cacciati dal Myanmar nel 2017.