Kent Walker, vicepresidente senior degli affari globali di Google (questa è la sua qualifica), sul blog dell'azienda ha replicato al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti in merito all'accusa di aver praticato pratiche commerciali scorrette, creando un monopolio e violando in tal modo le norme antitrust.

Che cosa poteva dire Walker se non che l'azione legale promossa nei confronti di Google non ha alcuna base giuridica?

Per dimostrarlo Walker ha spiegato che Google non fa niente di più e niente di meno per promuovere il motore di ricerca, di quanto non facciano altre aziende per promuovere i loro prodotti, ad esempio, sugli scaffali dei supermercati.

Inoltre, l'altro argomento utilizzato, e che presumibilmente anticipa il modo in cui Google intenda affrontare la causa in tribunale, è che gli utenti non usano il motore di ricerca di Google perché "devono", ma perché vogliono farlo.

In pratica, riassumendo le sue argomentazioni, il presunto monopolio di Google, se mai esista, non è rappresentato da pratiche commerciali scorrette, quanto dal fatto che la qualità del prodotto fa sì che questo sia il più utilizzato dagli utenti che accedono ad Internet.

Le cose stanno realmente così? 

Fino ad un certo punto. Infatti, quello che Walker non spiega è un'altra accusa mossa dal Dipartimento di Giustizia Usa: il fatto che, al di là della qualità del motore di ricerca, Google ne manipolerebbe i risultati per mostrare risultati più convenienti ai suoi interessi, al punto di oscurare aziende concorrenti allo scopo di massimizzare il ritorno economico derivante dalla pubblicità. In questo modo Google, che nella nota del DOJ (Department Of Justice) viene definito come il portinaio (gatekeeper) di Internet, ha creato un monopolio nell'accesso alla rete, in violazione delle norme antitrust degli Stati Uniti.

In attesa che un tribunale ci faccia sapere se ciò sia vero o meno, nel frattempo possiamo citare al riguardo un articolo del NYT a commento della vicenda che giudica la causa del Dipartimento di Giustizia come non così incisiva come avrebbe dovuto essere e oltretutto con almeno dieci anni di ritardo.

"L'azione intrapresa martedì è simile alla proverbiale chiusura della porta della stalla non solo dopo che i buoi sono scappati, ma anche dopo che quei buoi, adesso pure miliardari, hanno calpestato settori chiave dell'economia e della società degli Stati Uniti".

Per completezza d'informazione, nell'articolo si riconosce anche che il problema del monopolio non riguarda solo Google, ma anche le altre grandi società che operano su Internet,  come Facebook ed Amazon.

L'ultimo aspetto da considerare è quello che l'azione giudiziaria, promossa dall'attuale amministrazione Trump, possa poi non essere portata avanti qualora Biden vinca le elezioni. È un'ipotesi da considerare, ma non bisogna dimenticare che non è stato solo il DOJ a promuovere la causa. Ad esso, infatti, si sono associati, anche i procuratori di 11 Stati. Inoltre, anche il Congresso ha avviato un'inchiesta su Google, Facebook, Amazon, ecc. per valutare le correttezza delle loro pratiche commerciali.