Con “GNA FACCIO PIÙ”, la prima raccolta poetica di Veronica Evangelisti, l'autrice, già distintasi nella prosa, fa un esordio con i fiocchi anche nella scrittura in versi.

In particolare, in un'epoca in cui spesso e volentieri, con la "scusa" della globalizzazione, si abusa delle parole di origine straniera usandole come il prezzemolo, colpisce la scelta dell'autrice di pubblicare la sua prima silloge poetica rigorosamente in romanesco. Ma del resto, come sosteneva Marcello D’Orta, il dialetto nasce dentro, è lingua dell’intimità, dell’habitat, “coscienza terrosa” di un popolo, sta all’individuo parlante come la radice all’albero; nasce nella zolla, si nutre nell’humus, si fonde nella pianta stessa. È, insomma, l’anima di un popolo.

Recensione - Veronica Evangelisti - “GNA FACCIO PIÙ”: la potenza del vernacolo.

Grazie alla potenza della “lingua del cuore”, secondo la definizione della stessa Veronica, la raccolta spazia con una spiccata naturalezza dalla descrizione ironica del mondo attuale, così complicato che chi lo capisce è bravissimo, alla rappresentazione dell'io più interiore.

Del resto, come diceva Rabindranath Tagore, se svestita dei fatti la verità si sente oppressa, nel costume della poesia si muove, invece, disinvolta e libera.

Per concludere, nell'Otto e nel Novecento, come ben sa chi ama la poesia, abbiamo avuto, rispettivamente, due immensi poeti dialettali romani come Giuseppe Gioachino Belli e Trilussa. E oggi, in una società che sta cambiando e in cui si sta riscoprendo, giustamente, la preziosa e insostituibile sensibilità femminile, sarebbe bello se Veronica Evangelisti potesse portare avanti l'interessante tradizione poetica della capitale.

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