Il Dottor Gregorio Scribano è una figura di riferimento nel panorama del giornalismo contemporaneo, pioniere del giornalismo partecipativo e voce critica del sistema mediatico tradizionale. Con una carriera dedicata alla democratizzazione dell’informazione, Scribano ha promosso nuovi modelli basati sull’indipendenza, sulla pluralità delle voci, anticipando molte delle trasformazioni portate dalla digitalizzazione. In questa intervista, esploriamo con lui le sfide e le opportunità di un’informazione che parte dal basso, interrogandoci sul futuro del giornalismo in un mondo sempre più interconnesso e dominato dalle piattaforme digitali.
Buongiorno Dottor Scribano, grazie per aver accettato il nostro invito. Secoli prima che la Costituzione repubblicana garantisse il “diritto di stampa”, nella Venezia del 1486 era già stato codificato il “privilegio di stampa”. In che modo, secondo lei, questa origine storica si collega alle dinamiche attuali del giornalismo?
Buongiorno, e grazie a voi per l’invito. Il “privilegio di stampa” nella Venezia del XV secolo rappresenta una pietra miliare, perché formalizzava la regolazione dell’informazione già in un contesto di potere. Era una concessione controllata, un modo per stabilire chi avesse diritto di esprimersi e chi no. Questo controllo, che oggi si manifesta in forme più sofisticate, è ancora presente. Nonostante le Costituzioni moderne garantiscano la libertà di stampa, il potere politico ed economico continua a influenzare ciò che viene pubblicato e ciò che rimane nascosto.
Parlando del rapporto tra informazione e potere, quali sono, secondo lei, le più grandi insidie della concentrazione editoriale?
La concentrazione editoriale è una delle più grandi minacce alla democrazia informativa. Quando poche mani controllano gran parte dei media, la pluralità delle voci si riduce drasticamente. Questo significa che non solo interi segmenti della società vengono esclusi dal racconto mediatico, ma che le narrative dominanti finiscono per rispecchiare gli interessi di chi detiene il potere economico e politico. È un circolo vizioso: ciò che è vendibile prevale, mentre temi complessi o scomodi vengono ignorati o banalizzati.
Oggi si parla molto di “fabbrica del consenso”, un concetto reso celebre da Noam Chomsky. Come si inserisce il giornalismo partecipativo in questo contesto?
Il giornalismo partecipativo rappresenta una risposta naturale alla “fabbrica del consenso”. Chomsky evidenzia come i media mainstream spesso agiscano come strumenti per perpetuare l’ideologia dominante. Il giornalismo partecipativo, invece, mina queste dinamiche dal basso, offrendo spazi dove voci alternative possono emergere e confrontarsi. Non è perfetto, ma ha il potenziale per sfidare il monopolio della narrazione tradizionale e promuovere un’informazione più diversificata e critica.
La digitalizzazione dei media è spesso vista come una rivoluzione positiva. Quali sono le luci e le ombre di questo processo, secondo lei?
La digitalizzazione ha portato enormi vantaggi: abbattimento dei costi, accessibilità globale e democratizzazione della produzione e della fruizione dei contenuti. Tuttavia, ha anche creato nuove sfide. Il sovraccarico di informazioni, la diffusione di fake news e la dipendenza dai giganti tecnologici sono problemi significativi. Inoltre, il fatto che molte piattaforme digitali siano finanziate da pubblicità può riproporre, in una veste diversa, la stessa subordinazione al potere economico che critichiamo nei media tradizionali.
Veniamo al cuore della questione: il giornalismo partecipativo. In che modo può essere considerato una sorta di “Riforma agraria” dell’informazione?
La metafora è calzante. Così come una riforma agraria redistribuisce la terra per restituirla ai contadini, il giornalismo partecipativo redistribuisce il potere dell’informazione, sottraendolo ai grandi conglomerati e restituendolo ai cittadini. È una democratizzazione del diritto di raccontare il mondo, dove la comunità diventa protagonista e si affida a processi di verifica collettiva e trasparente, simili alla revisione tra pari della comunità scientifica. È un modello che sfida la logica top-down, favorendo un approccio orizzontale e inclusivo.
Qual è il futuro del giornalismo partecipativo in un mondo sempre più dominato dalle piattaforme digitali?
Il futuro dipende dalla nostra capacità di sviluppare piattaforme che garantiscano indipendenza e trasparenza. Se continuiamo a dipendere da ecosistemi controllati da pochi colossi, rischiamo di compromettere i progressi fatti. Ma se sapremo promuovere modelli sostenibili e decentralizzati, il giornalismo partecipativo potrà continuare a crescere, affermandosi come un pilastro fondamentale per una società più informata e democratica.
Un’ultima domanda: qual è il messaggio che vuole lasciare ai giovani aspiranti giornalisti?
Non abbiate paura di essere critici, di porvi domande scomode e di sfidare il sistema. Il giornalismo non è solo un mestiere, è un servizio alla società. In un mondo in cui l’informazione è spesso manipolata, il vostro compito è portare alla luce la verità, senza compromessi. Siate coraggiosi, indipendenti e fedeli ai fatti, sempre.
Grazie, Dottor Scribano, per questa stimolante conversazione.
Grazie a voi. È sempre un piacere parlare di come possiamo costruire un’informazione migliore.