John nacque a Chicago nel 1949 da Adam e Agnes, albanesi, di professione ristoratori.

Per il ragazzo questo era già un problema, tanto che per anni si dichiarò di origini greco – italiane, a suo avviso comunque preferibili. Allora, per quei pochi statunitensi che la conoscevano, l’Albania era soltanto uno sfigatissimo paese comunista, amico della Cina. Ai tempi di Mao, per significare "uomo bianco" si diceva "è un albanese".

Erano quattro figli, uno dei quali, Jimmy,  farà l' attore a sua volta. Tra i due fratelli , molto legati, non mancavano baruffe e scazzottate. Un  grande affetto li legava alla nonna matriarca.

John, dal massiccio fisico balcanico, dotato nello sport, si fece subito notare per la "verve" scenica; era considerato un idolo goliardico, una specie di giullare del liceo, ma avrebbe preferito un maggior seguito presso le ragazze. Presto incontrò la futura moglie, Judy Jacklyn, unica donna della sua vita, di qualche anno più giovane.

Conobbe il belloccio e dinoccolato canadese Dan Aykroyd, aspirante attore e sceneggiatore. Tra i due nacque subito una bella amicizia virile, da romanzo. Pur se conducevano vite private distinte e avevano interessi diversi, erano l’uno per l’altro. Condividevano bravate giovanili, tipo rubare il motore a un fuoribordo, e l’uso di droghe, senza farsi mancare nulla.

Per un certo tempo i due gestirono un locale alternativo a Chicago, il Blues Bar. Poi giunse la trionfale carriera televisiva, nel programma “Saturday Night Live”, fucina di talenti comici, da Robin Williams a Eddie Murphy. Si spostarono così a New York.

A capodanno del 1977 John e Judy si sposarono, per  motivi pratici, dissero. Lei usava sostanze e dapprima questo fu elemento di affinità. Si concessero anche un viaggio a Venezia.

Lui lavorava senza sosta nello show, eclettico nelle esibizioni: parodie, siparietti, un fuoco d'artificio di personaggi veri e inventati: ape regina, con tanto di costume giallo e nero gonfiato, compulsivo cameriere di un pazzo fast food, le famose imitazioni di Joe Cocker e Toshiro Mifune, il surreale "la cosa che non voleva andarsene", gags deliranti e irresistibili. Dan puntava ad attività integrate, attore e sceneggiatore, magari un domani anche regista.

Il cinema non tardò ad accorgersi di loro. John è ricordato sostanzialmente per quattro film.

 

Animal House”, diretto dall’amico e sodale John Landis ( poi noto per film come “Una poltrona per due”).

Ambientato in una confraternita studentesca e girato  appunto alla “Alpha Fraternity”, nel New Hampshire”, vi interpreta la parte di Bluto, studente trucidissimo, che scatena baldorie incontrollabili.  Ci sono anche scene di balli e baccanali con attrici a seno nudo, che nelle produzioni americane di un certo tipo si faceva fatica a trovare. L’esordio è già controcorrente, e scioccante per il pubblico statunitense, che non ama vedersi rappresentato per quel che è.

 

 “Vicini di casa” diretto da J.Avildsen (regista del primo “Rocky”).

L’intenzione era buona. Il personaggio di John è sposato e ha una figlia; la sua famiglia è triste e conformista. L’arrivo di una coppia di vicini ( il marito è Aykroyd), dallo stile di vita eccentrico e travolgente, lo trasformerà. Verso la fine del film John distrugge simbolicamente il televisore.

Fu una delusione. Regista e protagonisti avevano idee diverse sui tempi comici; l’atmosfera è buia e pesante; le interpretazioni dei due rimangono in stile di monologo televisivo; la carica dirompente della sceneggiatura non esce. Fallimento prevedibile? John già dava fastidio per il carattere difficile e le sue abitudini di vita.

 

 “The Blues brothers” sempre di J. Landis

Film di culto, per gli amatori. Due fratelli, con la fedina non immacolata , vengono a sapere che l’orfanatrofio dove sono cresciuti rischia la chiusura e fanno di tutto per scongiurarlo. Ci riusciranno a un prezzo…

John e Dan, hipsters ( *1) per eccellenza, vestono per tutto il film con abiti neri e occhiali scuri, look che verrà imitato all’infinito in sketch e pubblicità di tutto il mondo. E’ un carosello di stuntman impegnatissimi, ospiti musicali d’eccezione (memorabili Ray Charles e Aretha Franklyn), coreografie in stile Broadway. Anche in questo caso, molto è tratto dai precedenti televisivi, ma funziona.

Passa per il film lo sberleffo a una certa società americana rozza e ignorante. Alcune scene sono davvero felici (una per tutte, quella in cui John chiede perdono, con scuse inverosimili, all’inferocita fidanzata abbandonata all’altare). Non manca la disinvolta etica di molta produzione statunitense,  per cui si tollerano autentiche mascalzonate in nome del principio che il fine giustifichi i mezzi e si finisce per parteggiare per  le due simpatiche canaglie. Film antirazzista per eccellenza,e anche, si dice, di subliminale propaganda filocattolica.

 

 Chiamami Aquila, di Michael Apted.

Affiancato dalla dolce Blair Brown, John è un giornalista di Chicago che si mette nei guai per un’inchiesta scottante e si rifugia in uno chalet di montagna, dove si innamorerà di una ornitologa. A scampato pericolo, decideranno di non rinunciare al proprio stile di vita e di vedersi periodicamente senza vivere insieme. Un insolito Belushi romantico, in un ruolo delicato e apprezzato.

 

Sempre inquieto, John aveva idee molto personali sui film da girare, riuscendo a scovare le sceneggiature più scombiccherate. Si scoprì anche produttore musicale, in cerca di  gruppi “di nicchia” un po’ mattoidi, che piacevano solo a lui, perché i testi erano infarciti di riferimenti alle droghe pesanti.

Proprio questo stava rovinando i suoi rapporti personali. Benché amasse frequentare le conigliette di “Playboy”, sembra assodato che fosse stato reso pressoché impotente dall’uso eccessivo di eroina. Judy, che avrebbe desiderato smettere e avere un figlio, era sempre più distante dalla sua vita,, ma qualcuno la accusa di non averlo aiutato affatto.

Dan voleva progredire, essere un cineasta a tutto tondo, come riuscì a fare almeno in parte; senza tradire l’amicizia, si andava progressivamente allontanando a propria volta.

Privo dei suoi riferimenti, John andava alla deriva. Non era un cattivo ragazzo. Ripianò i debiti dei genitori, dovuti alla pessima gestione dei ristoranti; manteneva praticamente tutta la famiglia della moglie, dai suoceri alla cognata. Era un amico fedele e generoso, perfino un po' timido, affettuoso, "grande abbracciatore", come riferiscono in tanti. Innocuo e pacifista, costituiva una compagnia ingombrante ma affidabile, per coloro che amava.

Solo che il suo grande amore era un altro, lo sballo: per dimenticare le pressioni dei produttori e dei parenti, il delirio malato dei fans che lo volevano buffone a vita e non attore serio. O sfuggire al suo  affezionato manager, mister Brillstein, il quale usciva pazzo nel tentativo inutile di rincorrerlo.

Gli avevano messo accanto un esperto body guard, per tenerlo lontano dagli spacciatori, ma questi riuscivano a passargli la roba nei modi più impensati e lui stesso ne escogitava sempre di nuovi.

Cominciarono così le scorribande notturne per Los Angeles, l’amata – odiata città dei sogni, su limousine guidate da autisti che iniziarono a passarsi voce: per lavorare con quello, volevano più soldi o niente, stargli dietro era un incubo.

Frequentava compagnie che persino navigati personaggi come Bob De Niro e Robin Williams ritenevano eccessive: minorenni interessate, spacciatrici di brutti modi, donne che un attore di fama avrebbe dovuto evitare.

Alcune simpatie, se le era perse per strada, con dichiarazioni avventate: criticato da Nick Nolte, aveva replicato che lui, John, non aveva fatto carriera prendendolo nel c…

La notte tra il 4 e il 5 marzo 1982, all’Hotel “Chateau Marmont”, noto per il pacchiano stile architettonico clamorosamente finto medievale e come residenza di varie celebrità, egli si trovava in compagnia di Catherine Smith, una specie di hippy strafatta,  che campava spacciando; lei gli fece una speed ball (*2) e se ne andò quando vide che le cose si mettevano male.

John, già imbolsito nel fisico , fu ritrovato nella camera sporca e disordinata dal suo massaggiatore, la mattina dopo.

Insinuazioni su come andarono realmente le cose non sono mancate. Qualche ora prima della morte  Belushi si trovava appunto in compagnia di Bob De Niro e Robin Williams. Si dice che la polizia, nell’ambito di un’operazione antidroga, stesse indagando sul grande Bob ma, avendo le mani legate, pensava di incastrare il più indifeso Belushi.

Fu sepolto a Martha’s Vineyard, l’isola VIP dei newyorkesi da lui amatissima, tanto da avervi comprato una casa. Guidava il corteo funebre Dan Aykroyd, in motocicletta.

Come spesso accade alle star d'oltreoceano, fu idolatrato più in Europa che a casa propria.

 

 

(*1) Hipsters, giovani anticonformisti, in senso non sempre positivo, che si muovono in modo strano, bizzarri, vagabondi.. Movimento nato tra gli anni '40 e '50.

(*2) Speedball, letale miscuglio di eroina e cocaina, in genere iniettato per endovena.