La Turchia al voto: incertezza sul futuro di Erdogan
Questa domenica si tengono le elezioni presidenziali e politiche in Turchia, una tornata elettorale cruciale per il futuro del Paese. Più di 60 milioni di cittadini sono chiamati a scegliere tra quattro candidati alla presidenza e 36 partiti per il parlamento. Il presidente uscente Recep Tayyip Erdogan, al potere da vent'anni, affronta la sfida più difficile della sua carriera politica, messa in crisi dalla recessione economica, dalla pandemia di Covid-19 e dai terremoti che hanno colpito il sud-est del Paese.
Erdogan, leader del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP), si presenta come il garante della stabilità e della sicurezza nazionale, sostenuto da una coalizione di partiti conservatori e nazionalisti. Il suo principale avversario è Kemal Kilicdaroglu, leader del Partito Popolare Repubblicano (CHP), la principale forza di opposizione laica e socialdemocratica, che ha formato un'alleanza con altri partiti liberali e progressisti. Gli altri due candidati sono Sinan Ogan, leader del Partito Democratico Nazionale (MDP), una formazione di centro-destra che si propone come alternativa moderata all'AKP, e Muharrem Ince, ex candidato del CHP che ha fondato il Partito Patria (YP), una formazione di centro-sinistra che punta a conquistare i voti dei giovani e delle donne. Quest'ultimo, però, ha ritirato la sua candidatura a pochi giorni dal voto.
Secondo gli ultimi sondaggi, nessun candidato alle presidenziali è in grado di superare il 50% dei voti al primo turno, il che rende probabile uno scenario con un ballottaggio tra Erdogan e Kilicdaroglu il 28 maggio. In questo caso, il risultato dipenderà dalla capacità dei due contendenti di attrarre i voti anche delle minoranze etniche e religiose. In particolare, il ruolo chiave potrebbe essere giocato dai curdi, che rappresentano circa il 20% della popolazione e che sono stati oggetto di una dura repressione da parte del governo Erdogan.
Le elezioni si svolgono in un clima di tensione e polarizzazione, con accuse reciproche di brogli e violenze. L'opposizione denuncia la mancanza di libertà di stampa e di espressione, la persecuzione dei dissidenti e l'ingerenza del potere esecutivo nella giustizia. Il governo accusa invece l'opposizione di essere al servizio degli interessi stranieri e dei terroristi. La campagna elettorale non ha visto alcun dibattito televisivo tra i candidati, con una netta disparità di copertura mediatica a favore di Erdogan.
Le elezioni sono anche un test per il sistema presidenziale introdotto nel 2018 con una riforma costituzionale voluta da Erdogan, che ha abolito il ruolo del primo ministro e ha concentrato tutti i poteri nelle mani del capo dello Stato. L'opposizione si impegna a ripristinare il sistema parlamentare e a rafforzare lo stato di diritto e la democrazia. Il voto rappresenta quindi una scelta cruciale per il destino della Turchia, un Paese strategico tra Europa e Medio Oriente, alleato della NATO.
Le domande che restano in sospeso però sono "preoccupanti". Siamo sicuri che Erdogan possa cedere il potere in una elezione? Nel 2016 sono in molti a scommettere che sia stato lui ad organizzare il colpo di Stato per giustificare la rivoluzione istituzionale che lo ha trasformato in una specie di dittatore. Difficile credere il "dittatore turco" possa accettare la sconfitta e, come ha lui stesso annunciato, ritirarsi dalla politica.