La risposta dei Paesi musulmani a quanto sta avvenendo a Gaza non è né omogenea né univoca. Le divisioni ideologiche e gli interessi in ballo sono troppo diversi per raggruppare il Medio Oriente in un blocco anti-israeliano o almeno pro-palestinese.
Tuttavia, alcuni gruppi si stanno muovendo per cercare un indirizzo di compromesso che riesca a raggiungere l’obiettivo comune, e cioè la fine delle violenze e dei massacri sui palestinesi. In particolare sono le associazioni di musulmani e quelle di attivisti che propongono di adottare lo strumento delle sanzioni, allo scopo di placare la furia di Israele.
Se Tel Aviv non può essere convinta a smettere né dalla diplomazia europea (pressocché inesistente) né dalle minacce iraniane (troppo deboli), allora perché non provare a toccarli nel portafoglio.
Il boicottaggio dei prodotti israeliani è una strategia già in atto da diverso tempo, ma oggi prende un significato e un’urgenza ancora maggiori. Se il boicotaggio viene attuato a livello di scelte dei singoli consumatori, forse è poco incisivo, mentre sarebbe un messaggio di gran lunga più forte la sospensione degli scambi e dei commerci a livello statale.
La Turchia sembra averlo già fatto, dichiarando l’alt ai progetti energetici comuni con Israele e al passaggio del suo gas dal territorio israeliano. L’associazione palestinese Al Mezan Center for Human Rights - finanziata anche da donatori pubblici svedesi, svizzeri e olandesi -chiede un intervento diplomatico più deciso da parte dell’Unione Europea.
A sua volta in Malaysia il Mapim, Consiglio malaysiano delle organizzazioni islamiche, ha invocato l’embargo totale contro Israele in modo che si decida a togliere il blocco da Gaza. L’Iran chiede ai 57 Paesi membri dell’OIC (Organizzazione della Cooperazione Islamica) di rompere le relazioni con Gerusalemme.