La nostra vita comincia a finire il giorno che diventiamo silenziosi sulle cose che contano.
(Martin Luther King)
Nel panorama delle notizie attuali, emerge con preminenza la commemorazione tenutasi il 7 gennaio 2024, focalizzata sulla strage di Acca Larentia. Tale evento ha suscitato ampio interesse mediatico in seguito all'atto di omaggio compiuto da diverse centinaia di individui, i quali, alzando il braccio al cielo, hanno evocato il neonato partito fascista.
Le ore successive hanno visto la comparsa sul web di molteplici commenti, divisi tra coloro che condannano le azioni compiute e coloro che le difendono. Pur trattandosi di un tema intrinsecamente politico, la volontà di questo testo è quella di presentare un ragionamento di natura sociale.
Coloro che supportano tali riunioni spesso mettono in evidenza la non dannosità di tali azioni, sottolineando il loro mancato intento di proselitismo e sottolineando la loro conformità alla nostra Costituzione.
A sottolineare ciò si afferma poi che, la giurisprudenza ha in passato oscillato tra sentenze che hanno condannato tali azioni mascherate sotto forma di commemorazione e orientamenti successivi che hanno ammesso tali atti e segni, a condizione che non rappresentino attività di proselitismo
Tuttavia, le risposte dei commentatori che le condannano si concentrano sulla disposizione riguardante il divieto di apologia e di riorganizzazione del partito fascista, contemplata come dodicesima legge transitoria e finale della nostra Costituzione. Inoltre, si fa riferimento alla legge “Scelba”, la quale, considera reato il radunarsi nel momento in cui cinque o più individui perseguono finalità antidemocratiche, incluse le azioni volte ad esaltare esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito. Pertanto, commemorare una strage, sebbene possa rientrare nel contesto di libertà religiosa e commemorativa, diviene illecito quando eseguita con metodi apertamente e esplicitamente fascisti, configurandosi come reato di stato.
A supporto di questo divieto costituzionale, si richiama spesso anche la legge “Mancino”, la quale nell’Articolo 2 condanna coloro che manifestano emblemi o simboli appartenenti a organizzazioni definite, nell'ambito dell'odio e della violenza razziale, etnica o religiosa.
Un'altra prospettiva emerge da ulteriori commentatori, proponendo l'idea che, sebbene possa sussistere l'intento di anti-proselitismo, l'atto di adottare specifici gesti o simboli, anche in assenza di dolo, configura comunque un'azione di diffusione e apologia non intenzionale che arreca danno alla società. Analogamente al trattamento giuridico dei reati dolosi e colposi, simili eventi, sia intenzionali che non, richiedono condanna in quanto potenzialmente dannosi per la collettività.
Dall'ultima prospettiva emersa sorge una riflessione cruciale: la valutazione della reale nocività di tali azioni. Tuttavia, per poter rispondere a questo interrogativo, si richiede un approccio sociologico profondo, una considerazione sulla loro influenza sulle generazioni in crescita, sul tessuto sociale nel suo complesso.
La risposta a questa domanda potrebbe risultare complessa e articolata, poiché implica un'analisi delle conseguenze a lungo termine e dell'impatto sull'educazione delle generazioni future. Potrebbe però emergere un aspetto critico in questo contesto: l'indifferenza.
Il silenzio o l'inerzia possono rappresentare un ostacolo significativo alla possibilità di dibattito e confronto. Il problema principale potrebbe non risiedere esclusivamente nell'azione o nell'evento commemorativo in sé, ma nell'assenza di un'azione chiara e nel tacere di fronte a ciò che potrebbe essere una minaccia per la coesione sociale e i valori democratici.
In questo senso, sebbene spetti all'autorità giudiziaria il compito di definire se siffatte manifestazioni o commemorazioni siano illecite e/o lesive, il vero danno sociale potrebbe manifestarsi nel silenzio del governo, nell'assenza di un chiaro posizionamento e nell'omissione di un proprio punto di vista.
L'apertura al dibattito politico, il confronto di idee e il manifestare chiaramente posizioni costituiscono elementi cruciali per preservare i valori democratici e la coesione sociale. Il tacere, in questo contesto, rappresenta un rischio maggiore rispetto all'atto in sé, poiché affossa qualsiasi possibilità di confronto costruttivo e di crescita collettiva.