Sono due giorni che alcuni giornali nazionali riportano gli insulti destinati al capo del governo che intende recarsi a Caivano per offrire la sua solidarietà per il caso di stupro di due minorenni da parte del “branco”. 

Le minacce via social sono ormai entrate nell’uso comune ma non solo, diffamazione, calunnia e false testimonianze dilagano impunemente dentro e fuori dai tribunali italiani; omissioni in atti d’ufficio, favoreggiamento e false informazioni al PM sono considerati delle consuetudini così radicate che non ci bada più nessuno, neanche coloro che le commettono perché non c’è nessuno che glielo faccia notare.

Mi è sfuggito un aspetto dei contenuti degli articoli pubblicati, non riesco a capire come mai tali insulti provengano esclusivamente dal “popolo grillino” a causa dell’abolizione del Reddito di Cittadinanza da parte dell’attuale governo.

I due ultimi esecutivi hanno impiegato quasi tutto il tempo ad abrogare tutte le riforme dei due esecutivi precedenti, riportando il Paese sul binario morto dove giaceva da decenni. 

Il premier dovrebbe comunicare più chiaramente agli italiani cosa intende per patria e famiglia (lasciamo fuori le divinità da questi slogan). Fare la “visita del dottore” in una regione abbandonata al suo destino è molto peggio degli insulti ricevuti “da chi sa chi” attraverso i social. 

Invece avrebbe l’obbligo istituzionale di spiegare ai campani perché non è stato preso alcun provvedimento per arginare lo stato di abbandono e degrado in cui versa la loro regione; avere a disposizione i fondi del PNRR e dimostrare una totale incapacità di gestirli per finalità pubbliche non è un vanto; né lo è smantellare la normativa che serviva a “contenere” la corruzione e prendere in giro i cittadini del Sud con la improbabile e soprattutto inutile costruzione di un ponte sullo Stretto che serve a far ingrassare gli imprenditori del Nord; chiudere l’ILVA e costruire un’acciaieria a Venezia non è un’idea brillante; il sindaco di Palermo le fa sapere che tutte le opere infrastrutturali previste dal piano di investimenti europei non possono essere realizzate nei tempi previsti per cui rispediscono “l’osso” al mittente; ha abolito il “flagello” del RdC ma i corsi per l’avviamento al lavoro non esistono per cui i giovani disoccupati non possono accedere al reddito di inclusione (fatta la legge trovato l’inganno); Giorgetti afferma che la popolazione sta invecchiando e Salvini dice agli italiani che per pagare le pensioni bisogna fare figli: le pensioni si pagano creando lavoro e pagando le imposte e i contributi non mettendo al mondo degli esseri umani senza un futuro. Ci si potrebbe scrivere un libro con tutti gli interventi a tutela delle classi medio alte a danno dei più deboli.

Chi ha ricostruito questo Paese distrutto dalla guerra sono stati gli anziani di oggi che “costano troppo” e impediscono ai giovani di progredire. Ipocriti!

Per capire la logica di questo governo occorre dare uno sguardo agli anni ‘80/90’ avvalendoci dell’esperienza di chi c’era e stava sulle “barricate” a difendere lo Stato dagli attacchi di chi ha sempre combattuto la realizzazione di una reale democrazia in Italia. Parliamo dell’ex Procuratore di Verona Guido Papalia, ormai ultraottantenne, un magistrato che, durante tutto l’arco della sua carriera, si è trovato a fronteggiare ambienti ostili e pericolosi prima in Sicilia e Calabria poi nel Veneto dove ha concluso la sua carriera nella magistratura come procuratore di Verona: mafia, ‘ndrangheta ed eversione nera.

Parliamo degli insulti e delle minacce che gli sono stati recapitai direttamente a casa: una pistola avvolta in un foglio della “Padania” (l’ormai defunto giornale della Lega); proiettili da vario calibro; una lapide funebre con tanto di croce e foto ovale e la scritta “Guido Papalia. Morto eroicamente con la Repubblica italiana”, accanto alla quale posò in una fotografia l’ex sindaco Flavio Tosi, che Papalia fece condannare per odio raziale. Tosi, oggi divenuto centrista, allora “amoreggiava” con l’estrema destra.

Pm a Caltanissetta poi come sostituto Procuratore a Reggio Calabria dove i boss lo minacciavano durante gli interrogatori. Dice: “I neri mi vedevano un po’ la loro bestia nera, scusi il gioco di parole. Ma la legge è legge. La legge Scelba e la legge Mancino non sono un optional, anche se vengono applicate troppo poco rispetto a quanto bisognerebbe”.

Il magistrato offre uno spaccato esauriente della città di Verona (dal cuore nero):

“Durante il fascismo e nel periodo della Repubblica di Salò Verona rivestì un potere enorme. Questo potere per conservarsi aveva bisogno di fare proselitismo tra i giovani. Che è un po’ quello che fa anche la mafia. E dunque la città che era interessata a mantenere quel potere ha deciso di puntare sui giovani. Il neofascismo veronese fa leva sulla difesa del territorio, in particolare del centro storico; è, in scala provinciale, la tutela della sovranità della patria come la intendeva il fascismo. Chi non è bene accetto, viene respinto, emarginato, escluso. Dal fascismo in poi il concetto della razza qui non è mai scomparso, è diventato ideologia. E sa perché sopravvive? Perché chi ha il dovere istituzionale e civile di condannare con fermezza certi episodi, il linguaggio d’odio, l’intolleranza, la propaganda razzista e fascistoide, non lo fa: tollera, lascia passare. O, peggio, strizza l’occhio”.

L’ex Procuratore di Verona è una memoria storica del fenomeno eversivo veneto e che si è espanso in tutto il territorio nazionale. Dai faldoni conservati negli archivi emerge la simbologia, i richiami, i collegamenti, i rituali in gran parte segreti, i codici, i protagonisti: nomi, indirizzi, testimonianze, perizie. 

È estremamente interessante la descrizione “della curva percorsa da due consonanti, la F e la N. “Due lettere che ritornano e che, nell’arco di trent’anni, occupano il campo della destra neo-nazifascista italiana”.

Queste due lettere sono le iniziali del Fronte Nazionale e di Forza Nuova. E non è un caso!

L’ex Procuratore afferma: “C’è stata una continuità di rapporti ma anche di simboli, tra l’esperienza di Freda e quella di Fiore. Una continuità che si dipana a Verona. Forza Nuova in Veneto nasce da quel retroterra. Paolo Caratossidis, allora capo veneto di FN, padovano, aveva rapporti con Freda, anche lui di Padova”.

“Il Fronte Nazionale nasce nel 1990, ma le indagini del procuratore lo colpiscono nel 1993”. Ha ufficialmente vita breve, la prima sentenza risale al 1995 e due anni dopo ’97 è già fuori dai giochi, l’organizzazione verrà sciolta con decreto del ministero dell’Interno il 9 novembre 2000. Ma nel 1997 viene rimpiazzata da Forza Nuova fondata dai neofascisti latitanti all’estero Roberto Fiore e Massimo Morsello. Anche i due simboli sono molto simili, corrispondono alla rappresentazione grafica di una mezza croce uncinata.

Nella prima sentenza il Tribunale condanna i fondatori e gli appartenenti all’organizzazione che aveva il fine di imporre il suprematismo razziale a livello nazionale si legge che la sede era a Milano ma la sede operativa era a Verona, l’Italia era suddivisa in zone: Nordest e Nordovest; Centro e Sud. Il capo era Freda, leader politico e editore, accusato della strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 insieme a Giovanni Ventura: assolto in primo grado e condannato nel processo di appello, nel 2005 riconosciuto colpevole (ma non più processabile) con sentenza della Cassazione.

Nel decreto di rinvio a giudizio del 21 gennaio 1995 a cui seguirà la sentenza, testualmente: “Il movimento politico Fronte Nazionale ha finalità antidemocratiche proprie del Partito fascista, un vero e proprio nucleo organizzato di ricostituzione del disciolto Partito fascista (….) fondato su dichiarate posizioni di radicalismo  razzista contro gli extraeuropei presenti sul territorio (….) secondo una più ampia visione secondo cui spetterebbe alla razza bianca una funzione egemone e di guida rispetto alle razze di colore .  (…) di inequivoca ispirazione nazifascista è l’ideologia professata dal Fronte. (…). ‘Senza fretta ma senza tregua’ per arrivare all’obiettivo: “Illuminare noi e gli altri come noi sui vari caratteri della questione raziale, per contrastare gli effetti di snaturamento e deformazione della vita della nostra razza, suscitati dal caos etnico in cui stanno precipitando la nostra Patria e le altre Nazioni europee”.

Nel decreto che dispone il rinvio a giudizio per i neonazisti del Fronte di seguito ai sei nomi dei fondatori e dirigenti del movimento – il leader Franco Freda e i suoi collaboratori diretti Cesare Ferri, Aldo Gaiba, Vincenzo Campagna, Antonio Sisti e Ferdinando Alberti  - vi sono decine di adepti che hanno preso parte alle attività di una organizzazione che celebrava la “violenza quale metodo di lotta politica, la propaganda razzista, l’esaltazione di esponenti, fatti e metodi del fascismo e del nazismo”.

Quanto è accaduto nella scuola Diaz di Genova a degli inermi cittadini è un’ennesima testimonianza di quanto questa “filosofia” è radicata in un Paese che non si è mai confrontato seriamente con questo fenomeno che permane ed è diffuso più di quanto non appaia. Razzismo e violenza si manifestano in vari modi e quotidianamente, anche con uno stupro. 

I reclutatori di destra cercano i giovani, soprattutto adolescenti che possono facilmente convertirli alla violenza e alla loro ideologia per usarli per i  loro scopi, vedi Vinciguerra! Non è solo razzismo ma odio verso i diversi, verso i malati, verso gli anziani, verso chi non la pensa come loro; verso le donne realmente emancipate, verso gli ignoranti, verso gli onesti e le persone in buona fede, verso i poveri: alla fine ne rimarranno pochi perché la loro è una razza eletta quindi poco numerosa.