Il 5 luglio 2017 nel nostro codice penale venivano introdotti due articoli il 613 bis e il 613 ter per disciplinare il reato di tortura dopo un lungo e travagliato iter parlamentare infatti Luigi Manconi nel marzo 2013 aveva presentato il primo disegno di legge che prevedeva una pena da 4 a 10 anni di reclusione per questa fattispecie.  Il testo originario era così articolato:

“Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che infligge ad una persona, con qualsiasi atto, lesioni o sofferenze, fisiche o mentali, al fine di ottenere segnatamente da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o su di una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su ragioni di discriminazione, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.

La pena è aumentata se ne deriva una lesione personale, è raddoppiata se ne deriva la morte.

Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che istiga altri alla commissione del fatto, o che si sottrae volontariamente all’impedimento del fatto, o che vi acconsente tacitamente”.

Dovranno passare ben quattro anni per avere una normativa approvata dalla maggioranza, le nuove norme prevedono la reclusione da tre a dodici anni per:

 “ (….) Chiunque, con violenza o minacce gravi, infligge ad una persona forti sofferenze fisiche o mentali ovvero trattamenti crudeli, disumani o degradanti, allo scopo di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni su un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero allo scopo di punire una persona per un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale.

La pena è aumentata se le condotte di cui al primo comma sono poste in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio.

La pena è aumentata se dal fatto deriva una lesione grave o gravissima; è raddoppiata se ne deriva la morte.

Non può essere assicurata l’immunità diplomatica per il delitto di tortura ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati da una autorità giudiziaria straniera o da un tribunale internazionale. In tali casi lo straniero è estradato verso lo Stato nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di condanna per il reato di tortura o, nel caso di procedimento davanti a un tribunale internazionale, verso lo Stato individuato ai sensi della normativa internazionale vigente in materia”. (art.613 bis c.p.)

“Il cittadino o lo straniero che commette nel territorio estero il delitto di tortura di cui all’articolo 613-bis è punito secondo la legge italiana, ai sensi dell’articolo 7, numero 5”. (art.613 ter c.p.)

A suo tempo sono state sollevate numerose critiche dalla maggior parte delle associazioni che hanno combattuto a lungo contro la tortura, tutte concordavano che la legge era nata e fatta male: “In Italia da oggi c’è il reato di tortura nel codice penale. Una legge da noi profondamente criticata per almeno tre punti: la previsione della pluralità delle condotte violente, il riferimento alla verificabilità del trauma psichico e i tempi di prescrizione ordinari”.  Il presidente di Amnesty International Italia Antonio Marchesi sottolineava: “Quella approvata oggi dal Parlamento, che introduce con quasi 30 anni di ritardo il reato specifico di tortura nel codice penale ordinario, non è una buona legge. È carente sotto il profilo della prescrizione”; l’Associazione Antigone con una nota affermava: “La legge approvata che incrimina la tortura non è la nostra legge e non è una legge conforme al testo Onu. Per noi la tortura è e resta un delitto proprio, ossia un delitto che nella storia del diritto internazionale, è un delitto tipico dei pubblici ufficiali”.

L’articolo 613-bis c.p. punisce con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque, con violenze o minacce gravi ovvero agendo con crudeltà cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza ovvero che si trovi in situazione di minorata difesa, se il fatto è commesso con più condotte ovvero comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. La pena sale da 5 a 12 anni se a commettere il reato è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. La normativa stabilisce inoltre che “le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque utilizzabili” in un processo penale.

In caso di lesione grave personale le pene sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà”. Se invece “dal fatto deriva la morte quale conseguenza non voluta, le pene sono aumentate di due terzi. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo. Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta”.

Viene anche punito da 6 mesi a 3 anni “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura”.

La normativa vieta espressamente le espulsioni, i respingimenti e le estradizioni ogni volta che sussistano fondati motivi di ritenere che, nei Paesi nei confronti dei quali queste misure amministrative dovrebbero produrre i loro effetti, la persona rischi di essere sottoposta a tortura. La disposizione aderente al contenuto dell’articolo 3 della Convenzione Onu precisa che tale valutazione tiene conto se nel Paese in questione vi siano violazioni “sistematiche e gravi” dei diritti umani.

Per quanto riguarda l’immunità la normativa esclude il riconoscimento di ogni “forma di immunità” per gli stranieri che siano indagati o siano stati condannati per il delitto di tortura in altro Stato o da un tribunale internazionale. L’immunità diplomatica riguarda in via principale i Capi di Stato o di governo stranieri quando si trovino in Italia nonché il personale diplomatico-consolare eventualmente da accreditare presso l’Italia da parte di uno Stato estero.

L’Italia è lo Stato più prolifero di leggi, ce ne sono per tutti i gusti ed esigenze (anche ad personam) ma si trascurano quelle essenziali come quelle a tutela della dignità e della vita dei cittadini. Di questi articoli ne avevamo un bisogno vitale infatti basta ricordare quanto accadde nella scuola Diaz in occasione del G8 di Genova nel luglio del 2001 fu definita una “macelleria messicana” contro cittadini inermi e pacifici da parte delle “forze dell’ordine”. I responsabili “pubblici ufficiali” sostanzialmente non subirono conseguenze sostanziali, non vi era una legge contro la tortura e, particolare molto importante, vi era un governo di centro destra: Fini aveva cambiato sigla al suo partito e immediatamente si erano trasformati in democratici manganellatori.

Spesso ascolto su Radio radicale le registrazioni delle udienze dei principali processi in corso, poche sere fa ho avuto la sgradevole sorpresa di apprendere che era stato vietato all’emittente di pubblicare la registrazione delle udienze del processo per le violenze consumate nel carcere di Santa Maria Capua Vetere: per tutelare il buon nome della categoria è stato sacrificato il diritto alla conoscenza e leso la piena tutela dei diritti costituzionali dei cittadini sottoposti a detenzione, si è consumato un attentato alla libertà d’informazione e all’autonomia del giornalismo. 

A Ferrara è stata emessa la prima condanna in Italia per tortura e lesioni personali consumate con particolare crudeltà; il tribunale, con rito abbreviato, ha inflitto 4 anni ad un agente di custodia che aveva malmenato un detenuto e lo aveva costretto a spogliarsi, alla fine del processo il giudice ha rinviato a giudizio anche due colleghi del condannato e un’infermiera per falso e favoreggiamento.

Il 10 febbraio scorso il giudice per le indagini preliminari ha disposto gli arresti domiciliari per il vicecomandante del carcere di Biella e la sospensione dal servizio di 23 agenti di custodia operativi nello stesso carcere.

L’attuale governo ha pensato bene di voler sopprimere i due articoli fondamentali per combattere la tortura e la violenza consumata in particolar modo nei confronti di cittadini sottoposti a detenzione e non solo: il Parlamento ha impiegato trent’anni per adeguarsi alle disposizioni dell’ONU e della Comunità europea, in un attimo questo esecutivo ha trascinato il Paese nel Medio Evo.  

Il direttore  del Secolo d’Italia Italo Bocchino, oltre a tessere le lodi del premier Meloni che ha abolito la povertà abolendo il RdC rendendo tutti “impiegabili”, ha lamentato in particolare il trattamento ingeneroso verso gli insegnanti – sua sorella è un’insegnante di filosofia - che prendono solo 1700 euro di stipendio e le “forze dell’ordine” che hanno bisogno di un notevole aumento di salario soprattutto quelli che appaiono sui social sventolandosi con una mazzetta di banconote immersi in una piscina; quelli che fanno “favori” ai politici locali per ricevere la contropartita in trasferimenti, posti di lavoro per i loro familiari; quelli che chiudono gli occhi per i punti di spaccio segnalati con tanto di cartello a due passi dalla caserma;  quelli che si girano dal lato opposto per omettere di denunciare  abusi edilizi, licenze irregolari e via discorrendo. Anche se non bisogna generalizzare sono proprio i pubblici ufficiali che rivestono un ruolo determinante in questo “gioco delle parti” per questo devono ricevere un buon trattamento e agevolazioni di ogni genere infatti rappresentano un’assicurazione per la longevità della carriera pubblica di molti politici. 

Mi dispiace ma personalmente non provo stima per questo Paese, mi sento estranea a questo “andazzo”, non mi è mai piaciuto né tantomeno ho condiviso le finalità e gli interessi particolari che molti hanno arbitrariamente imposto sia alla collettività che alle persone "scomode".  Gli abusi di potere che ogni giorno vengono praticati sotto i nostri occhi ci dovrebbero far riflettere e stimolarci a riprenderci gli spazzi che ci sono stati sottratti invece alimentano la paura generale che sta dilagando nel Paese. Il processo di decadenza è iniziato già negli anni ‘60 ma nessuno gli ha badato, i segnali erano evidenti ma sono stati volutamente ignorati: la democrazia andava difesa attuando concretamente la Costituzione, la maggioranza della collettività ha preferito diventare schiava delle cricche partitocratiche invece di crescere e assumersi le proprie responsabilità.