La crisi del ceto medio, ormai in atto da circa vent’anni – praticamente da quando si è passati dalla lira all’euro che di fatto ha dimezzato stipendi, pensioni e risparmi degli italiani, pagando un euro con due mila lire -, è inarrestabile: stipendi e risparmi dimezzati dall’inflazione e dal caro vita, un’età pensionabile che si allontana sempre di più dall’asticella dei 65 anni, e una generale incapacità di migliorare la propria posizione sociale. Questo fenomeno è descritto come una sorta di “sindrome da galleggiamento” che “intrappola” gli italiani: una condizione di stabilità precaria in cui non si scivola verso il baratro, ma neanche si riesce a progredire.

Una difficile situazione economica e sociale che sta confinando anche quelli che un lavoro ce lo hanno e che ieri se passavano non diciamo bene, ma benino, sulla soglia della povertà. 

Questo è il quadro che emerge dal 58° Rapporto 2024 del Censis che dipinge una società italiana turbata e in profondo cambiamento, un’istantanea di una società sospesa tra incertezze e trasformazioni.

Gli analisti la definiscono “continuità nella medietà”, in cui restiamo invischiati senza incorrere in capitomboli rovinosi nelle fasi recessive e senza compiere scalate eroiche nei cicli positivi”. L’indagine socio-economica tocca anche la questione dei redditi delle famiglie, calati del 7% nel giro di vent’anni.


La sindrome da galleggiamento degli italiani.

A prima vista il 2024 “potrebbe essere ricordato come l’anno dei record: il record degli occupati e del turismo estero, ma anche il record della denatalità, del debito pubblico e dell’astensionismo elettorale. Andando più a fondo, però, l’analisi “ci consegna un’immagine più aderente alla reale situazione sociale del Paese. La sindrome italiana è la continuità nella medietà, in cui restiamo intrappolati”, afferma il Censis. “Il Paese si muove intorno a una linea di galleggiamento. Anche nella dialettica sociale la sequela di disincanto, frustrazione, senso di impotenza, risentimento, sete di giustizia, brama di riscatto, smania di vendetta ai danni di un presunto colpevole, così caratteristica dei nostri tempi, non è sfociata in violente esplosioni di rabbia. Ci flettiamo come legni storti e ci rialziamo dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti”.
Crollo di stipendi e pensioini.

Tutti i fattori sopra descritti hanno fatto sì che la spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere si smorzasse. Negli ultimi vent’anni (2003-2023), in Italia il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7%. E nell’ultimo decennio (tra il secondo trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%. “La sindrome italiana nasconde non poche insidie. L’85,5% degli italiani ormai è convinto che sia molto difficile salire nella scala sociale”, si legge nel rapporto.


Pil.

Nel ventennio 1963-1983 il valore del Pil era raddoppiato, crescendo complessivamente di 731 miliardi di euro (+117,1%). Nei successivi vent’anni, tra il 1983 e il 2003, l’incremento si era ridimensionato a 656 miliardi di euro (+48,4%); ma negli ultimi due decenni, tra il 2003 e il 2023, l’aumento è stato solo di 117 miliardi di euro (+5,8%). Negli intervalli di tempo considerati, il Pil pro-capite era aumentato di quasi 12mila euro tra il 1963 e il 1983 (+96,7%), di oltre 11mila euro tra il 1983 e il 2003 (+46,2%), di poco più di 1.000 euro tra il 2003 e il 2023 (+3%).
Flussi migratori.

Secondo i dati, il 29,3% degli italiani vede come un nemico chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale e un 21,8% avverte ostilità nelle persone che professano un’altra religione. “Il 57,4% degli italiani si sente minacciato da chi vuole radicare nel nostro Paese regole e abitudini contrastanti con lo stile di vita italiano consolidato, come ad esempio la separazione di uomini e donne negli spazi pubblici o il velo integrale islamico“. Secondo il Censis il 38,3% degli italiani sarebbe molto preoccupato da chi vuole facilitare l’ingresso di migranti nel Paese.
Tuttavia “negli ultimi dieci anni sono stati integrati quasi 1,5 milioni di nuovi cittadini italiani, che prima erano stranieri”. E in questo può sorprendere constatare come l’Italia si collochi al primo posto tra tutti gli Stati Ue per quantità di cittadinanze concesse (213.567 nel 2023). Con un numero molto più alto delle circa 181mila acquisizioni in Spagna, delle 166mila in Germania, delle 114mila in Francia e delle 92mila in Svezia. Il nostro Paese è primo anche per il totale di cittadinanze concesse cumulato nell’ultimo decennio (+112,2% tra il 2013 e il 2022).


Guerre ed emergenza climatica.

Mai come in passato la bussola della politica italiana è legata agli sconvolgimenti internazionali. Non a caso per il 49,6% dei nostri connazionali il futuro sarà condizionato dal cambiamento climatico e dagli eventi atmosferici catastrofici, ma anche per il 46% dagli esiti della guerra in Medioriente e dal rischio (45,7%) di crisi economiche e finanziarie globali.
Istruzione.

In tema istruzione, o quella che viene definita “la fabbrica degli ignoranti”, emerge che la mancanza di conoscenze di base “rende i cittadini più disorientati e vulnerabili”. In termini di apprendimento non raggiungerebbe l’auspicato traguardo per la lingua italiana il 24,5% degli alunni al termine del ciclo di scuola primaria, il 39,9% al terzo anno della scuola media e il 43,5% all’ultimo anno della scuola superiore. Un dato che negli istituti professionali sale vertiginosamente all’80%.
Servizi pubblici.

Sotto la lente anche il “divorzio” tra città e campagne, soprattutto sotto il profilo dei servizi (pubblici e privati). Se in media in Italia le famiglie hanno difficoltà a raggiungere una farmacia (13,8%, pari a 3,6 milioni) o per accedere a un Pronto soccorso (50,8%, circa 13 milioni), nel caso dei Comuni fino a 2mila abitanti le difficoltà riguardano rispettivamente il 19,8 e il 68,6% dei nuclei familiari. E, ancora sul welfare, secondo il Censis nel periodo 2013-2023 si è registrato un balzo in avanti del 23% in termini reali della spesa sanitaria privata pro-capite, pari nell’ultimo anno a oltre 44 miliardi di euro.