Un aspetto preoccupante della pandemia da Coronavirus, che riguarda il nostro paese, è l'altissimo indice di mortalità. Al 29 marzo, pur essendo stata superata dagli Stati Uniti come numero di contagiati (143.055 contro 97.689), l'Italia si fa carico di quasi 1/3 del totale dei decessi (10.779 su 34.041).
Anche volendo escludere la Cina, i cui dati possono non avere la massima attendibilità, il confronto del tasso di mortalità italiano (11,03%) con quello degli altri paesi occidentali (8,5% in Spagna, 6,4% in Francia, 6,2% in Gran Bretagna, per non parlare della Germania con lo 0,8%) impone una riflessione, non tanto per sollevare delle polemiche, quanto piuttosto nella speranza che possa essere individuata la causa di tanta disparità, al fine, se possibile, di porvi rimedio.
L'argomento non sembra, al momento, essere al centro dell'attenzione mediatica. Tuttavia, sta aumentando il numero di giornalisti che, nel corso delle varie conferenze stampa o di un'intervista con l'esperto o il politico di turno, solleva il problema.
La risposta è sempre la stessa. In primo luogo viene chiamato in causa il "denominatore", cioè il numero di contagiati utilizzato nella divisione con cui si calcola la percentuale di mortalità (decessi/contagiati), sostenendo che il suo valore è troppo basso rispetto al reale numero di positivi non ancora individuati. Poi, inevitabilmente, si passa ad attribuire la responsabilità all'età media della popolazione italiana, più alta rispetto agli altri paesi e, come tale, meno capace delle altre di opporre resistenza al Covid-19.
Entrambe le motivazioni non sembrano molto convincenti o, almeno, non sufficienti a giustificare le differenze con gli altri paesi. Proviamo ad esaminarle più in dettaglio.
Il denominatore
Argomento preferito dal prof. Galli dell'ospedale Sacco di Milano, come del prof. Brusaferro dell'Istituto Superiore di Sanità o del vice ministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, è il fatto che l'indice di mortalità non tiene conto dei tanti italiani positivi e asintomatici che non sono entrati a far parte delle statistiche, perché mai sottoposti a tampone.
Ma che c'entra?
Un medico responsabile di un reparto ospedaliero (l'Italia) e registra una percentuale di decessi superiore ad un analogo reparto di un altro ospedale (la Germania) non si preoccupa se in giro ci sono persone ammalate non ancora ricoverate. Piuttosto si chiederà se c'è qualcosa che non va nel suo reparto.
E' vero che in Italia l'epidemia è iniziata prima e, quindi, è stato possibile registrare l'esito, purtroppo spesso funesto, della malattia in un maggior numero di casi. Si potrebbe ipotizzare che altri paesi si avvicineranno ai nostri dati con il passare del tempo. Non sembra essere questo il caso.
Infatti, la preoccupazione si accresce considerando il numero dei guariti, che non è così confortante. Ad oggi il numero dei guariti in Spagna, con un totale di contagiati inferiore, è superiore a quello dell'Italia. Ciò significa che nel paese iberico la malattia, in molti casi, ha già fatto il suo corso e il risultato è un'indice di mortalità inferiore e un indice di guarigione superiore a quello dell'Italia.
Sull'argomento denominatore sembra più che lecito nutrire molti, molti dubbi. Più seria, ma non a sufficienza, sembra la giustificazione basata sull'età media dei contagiati e sulle loro condizioni di salute pregresse.
Età e comorbidità
E' ormai diventato un luogo comune che in Italia si muore di più di Covid-19 perché siamo più vecchi. Ma vediamo meglio. E' certamente vero che l'età media degli italiani è superiore a quella degli altri paesi. Il motivo, però, è da ricercarsi nel fatto che da noi nascono meno bambini, non che negli altri paesi sia scomparsa la gran parte dei vecchi.
Considerando le condizioni di vita piuttosto simili, è presumibile che in Germania, paese con oltre 82 milioni di abitanti, il numero assoluto di anziani sia almeno uguale, se non più alto, di quello dell'Italia, che di abitanti ne conta 60 milioni. Ne consegue che anche il numero di tedeschi anziani, anche quelli con patologie, sia equiparabile a quello degli italiani.
E, allora, a fronte di queste considerazioni, nelle statistiche quello che acquista significato non è più la percentuale ma il numero assoluto dei decessi. Non è che in Germania gli anziani muoiono, ma non incidono più di tanto sulla percentuale totale, grazie al gran numero di giovani contagiati che guariscono. Con 523 decessi totali, si può ben dire che in Germania gli anziani non muoiono, o almeno non muoiono di Coronavirus.
Le modalità di calcolo dei decessi
A contribuire a tranquillizzarci potrebbe essere il fatto che il numero di decessi che ci viene fornito giornalmente è calcolato in modo diverso rispetto agli altri paesi. Da noi si parla, come ci viene fatto notare, di morti "con" Coronavirus, non di morti "per" Coronavirus. Gli altri paesi fanno altrettanto?
Probabilmente sì, dato che esiste un organizzazione come l'OMS che dovrebbe uniformare anche la raccolta dei dati, perché le statistiche abbiano una qualche utilità. Statistiche basate su dati eterogenei non hanno alcun senso.
Come ha dichiarato in una recente intervista la virologa Capua, i morti da attribuire effettivamente al Coronavirus in Italia sarebbero solo poche decine. Stupisce che per stabilire se il decesso sia dovuto al virus sia necessario l'esame delle cartelle cliniche da parte dell'Istituto Superiore di Sanità.
Si deve pensare che una prima attribuzione abbastanza attendibile, anche se non assolutamente certa, possa farla il medico che ha preso in cura il paziente, anche se questo presentava altre patologie. Del resto, sotto il profilo terapeutico, sembra necessario sapere quale sia la patologia prevalente, anche perché sarà quella a richiedere un intervento più sistematico.
E' vero che spesso ci possono essere delle difficoltà, come nel caso dei cardiopatici o degli immunodepressi che, qualora non avessero contratto il virus, avrebbero potuto vivere più a lungo. Per loro, però, poteva risultare letale anche la semplice influenza stagionale.
E' legittimo e doveroso chiedersi perché in Italia si registrano così tanti decessi. Le ragioni possono essere molteplici e possono essere di natura sanitaria, ma anche sociale, economica, comportamentale, logistica. Ad esempio, in Germania sembra esserci una maggiore separazione fra giovani e anziani. Gli anziani tedeschi si ritirano in case di riposo, mentre gli anziani italiani vivono insieme ai figli, provvedendo con la pensione alle loro necessità economiche e occupandosi dei bambini piccoli, in mancanza di asili nido. Una teoria, però, che non regge di fronte a casi come quello di Nerola, dove un'intera casa di riposo è stata contagiata.
Un'altra ipotesi potrebbe essere l'eccessivo numero di ricoveri per altre patologie e il successivo contagio avvenuto proprio in ambito ospedaliero. Le variabili in gioco sono molte. Ci auguriamo che il comitato tecnico-scientifico che affianca il capo del governo e il ministro della salute le prenda in esame al più presto in modo da porvi rimedio. Forse lo sta già facendo e non ce lo ha ancora fatto sapere.