Da bambino, e ho un’età oramai, andavano molto in TV i film western. Mi appassionavano molto.
E poi quello c’era da vedere. Se capitava, e capitava, di avere di fianco un grande, mamma o papà, la domanda inevitabile arrivava entro i primi 5 minuti. Chi è il buono? Chi è il cattivo?
I bambini sono così, hanno bisogno di comprendere quel che accade attorno a loro attribuendo ruoli netti, rapporti di causa effetto di roccia che dopo che sono stati fissati rimangano immutati e immutabili fino al prossimo Big Bang.
A una mente che si sta formando serve omettere che la realtà non sia poi così ben definibile, numerabile, prevedibile; serve invece ci sia molto bianco, molto nero, solo con qualche spruzzo di colore qua e là, ma non troppo. Apprendere diverrebbe un lavoro troppo complicato.
La realtà è molto più complicata della mente di un bambino. E gli viene dunque presentata nella sua versione ridotta, quella che puoi guardare da vicino, senza provare la vertigine.
Da molti anni, cresciuto a modo mio, ho imparato a guardare, anche per la mia professione, le cose come possibilità. Le certezze le ho lasciate tanto tempo fa al mio me stesso bambino, che le custodisse gelosamente per i miei figli.
Sì e no non sono più le mie risposte, forse sì, forse no, sono oggi le mie preferite, insieme a boh: comprenderete che in questo modo ai più oggi possa far venire un po’ di mal di testa dibattere con me.
In un certo senso mi sento un pesce fuor d’acqua. Nell’acqua ci sono ancora moltissimi pesciolini, bambini che bambini non sono più, che non sono riusciti a eliminare le branchie, e non sono usciti da quel brodo caldo e accogliente dei sì e i no di mamma e papà; sono adulti a cui non sono cresciuti i polmoni, che non hanno completato la transizione più importante della vita, quella che porta un bambino ad un adulto. Il mio Paese è un Paese per bambini. Quelli che nel frattempo sono cresciuti.
E accade che non ce ne si accorga per giorni, settimane, anni, generazioni.
Mi vengono in mente tutti quei bambini che gridavano entusiasti Duce in piazza, anche quando a quel balcone annunciò a tutti la Guerra, quella che avrebbe mandato al massacro centinaia di migliaia di loro.
Mi vengono in mente tutti quei bambini che negli anni del dopoguerra si tuffarono nel consumismo dei televisori e delle automobili utilitarie e che pensarono che avrebbero potuto da lì in poi tutto.
E poi quei bambini degli anni ’70 che per sentirsi nuovi e grandi maledirono i padri e le madri per inseguire un’altra moda di pensiero, passata la quale, tornarono come i loro padri e le loro madri.
E poi noi, popolo di Internet, bambini che pensiamo di avere tutto il mondo a portata di click, e tutto il mondo rinchiuso nei nostri social, nei nostri Amici, nei nostri followers.
Fino a questi giorni, quelli della Pandemia.
Qui la Storia procede non per un rettilineo, o per una curva, anche in salita, come tante volte ha fatto, ma per un cuneo improvviso, uno spillo che si alza solitario, ed ora siamo lì sopra tutti, sulla punta, stretti paradossalmente nelle quarantena, a guardare sotto, a chiederci dove prosegue la strada da qui in poi.
E noi bambini, e quando i bambini hanno paura sono ancora più bambini, siamo lì a chiedere a mamma e papà, come possiamo fare? E mamma e papà, che fanno quel mestiere da sempre, ci raccontano la loro storia. Che è una storia per bambini, ovviamente.
Ci raccontano che il virus è pericoloso se ti avvicini a meno di un metro, ma già a due non c’è nessun rischio.
Che il virus è pericoloso se usciamo di casa, ma se stiamo tutti a casa no.
Che il virus è pericoloso se non indossi la mascherina, ma se la indossi, va bene anche uno scialle, non è pericoloso.
Che il virus è pericoloso solo se sei vecchio o se sei malato.
Che il virus è pericoloso se corri lontano da casa, ma, se corri sotto casa, no.
Che il virus col caldo se ne va e che faremo tutti le vacanze al mare, in Italia.
Che il virus, se poi non se ne va, lasceremo sui mezzi un posto sì e un posto no, e non sarà pericoloso.
Che il virus non distruggerà lavoro ed economia perché lo Stato e l’Europa ci daranno lo stesso tutti i soldi che ci servono.
Che il virus è pericoloso a scuola, ma che i figli possono fare un’ora al giorno a casa, forse, in chat col maestro ed è come se fosse scuola.
Che poi i genitori torneranno a lavorare e i figli staranno ancora a casa, a scuole chiuse, e che però a tutti penserà il bonus Tata.
Che poi quando i tamponi per tutti ci saranno, e pure i test sierologici, il virus non avrà più segreti per noi e diventerà un po’ come l’animaletto di casa. Che sapremo controllare, e vivrà con noi.
E quando poi arriverà il vaccino sarà bellissimo tornare a vivere nell’altra storia, quella di prima.
Se noi fossimo adulti, se ci avessero educato, abituato a diventarlo, comprenderemmo facilmente che le cose non sono così in bianco e nero, così nette, così prevedibili e inquadrabili, che le domande sono molto più importanti delle risposte, che una legge stupida non serve, e se serve va anche combattuta, e che le regole di una società complessa, anche messa alla prova da uno dei più potenti stress test della Storia, non possono essere le paternali con cui ci tratta la Legge, il Governo, il Potere. Comprenderemmo che abbiamo uno Spirito Critico, ognuno di noi, che deve essere la nostra guida, la nostra coscienza, e che la Legge deve piegarsi al nostro maturo senso di responsabilità individuale e non viceversa.
Comprenderemmo che la vita, anche col Covid-19, non si ferma, mai, e che semmai avanza senza paura, con tutte le attenzioni supplementari di cui saremmo capaci verso noi stessi, verso i nostri famigliari, verso la società.
Comprenderemmo che non ci sono attività che hanno la patente di immunità, ma che questa prima che da un vaccino viene dal senso di responsabilità e dall’intelligenza di ciascuno di noi. Basta spiegare, bene.
Se il corpo ha gli anticorpi, anche le società hanno i cittadini. Solo che quelli li abbiamo tenuti bambini, e allora oggi ci servono le dirette facebook di Conte, le autoassoluzioni rassicuranti di Fontana e Gallera. Le certezze di Burioni.
Le banalità bonarie delle pubblicità TV nazionalviruspopolari.
Questo è un paese per bambini, quelli grandi. Quelli che lo sono realmente per età invece può essere che da un paio di mesi non vedano un albero. Una bici. Un pallone.
Questo è un Paese per bambini, che ha lasciato morire i suoi vecchi, perché i bambini, si sa, hanno paura della morte. Ed è meglio se non gliela fai vedere. Da vicino.
Questo è il mio Paese, ma quanto vorrei fosse diverso. Quanto vorrei lo fossero gli italiani.