Quando Dio creò ed ebbe dato forma a ciò che è “informe e vuoto”, la terra prese vita, un Dio che manifestò la sua misericordia non solo con il suo “contrarsi”, ma donando la dimora dove l’uomo potrà vivere. Ecco perché di tutto questo si dice che Dio è “buono” e “misericordioso”. Dio, soltanto riferendosi alla coppia umana, vide “che era molto bella”. La coppia nel piano di Dio è la più alta espressione di questa dualità. Dio pensa questa relazione “a immagine e somiglianza di se stesso”, che è “Amore e Misericordia”, che è relazione, che è Trinità. Non possiamo dimenticare che l’immagine completa di Dio non sta nell’uomo singolo o nella donna sola, ma nella coppia umana. Essa si presenta come la prima e originaria vocazione, la creazione dell’uomo e della donna, nel loro riconoscersi reciproco, come dono l’uno per l’altro.

Secondo san Giovanni Paolo II l’uomo è pienamente sé stesso quando ha di fronte un “altro” che lo corrisponda, un partner, un altro da sé. Infatti, «non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2,18), è questa l’espressione che ritroviamo nella Genesi per indicare uno stato di bisogno, di mancanza. Dio rivela di nuovo la sua infinita misericordia. Solo chi è attento all’altro può accorgersi del suo bisogno. Dio si accorge della solitudine dell’uomo. Il vuoto però, non può essere colmato con la creazione degli animali, essi non possono essere l’aiuto capace di essere “di fronte”, di “aiuto”. Ecco perché l’uomo non è chiamato a vivere in solitudine, ma in dialogo d’amore interpersonale. La donna è l’altro dono straordinario ed infinito che Dio fa all’uomo. Dio nella sua infinita misericordia dona la donna all’uomo, con immagini simili a quelle di una liturgia nuziale. Dio conduce la donna verso l’uomo, così come una sposa è condotta dal padre allo sposo. Questo gesto, di indiscussa e rara bellezza, evidenzia la più alta espressione del dono che non chiede di essere contraccambiato, ma fa della felicità altrui la propria felicità. É il più bel dono che il Padre misericordioso poteva fare a suo figlio. Questo gesto dice anche che la donna non è il frutto di un operare umano o espressione di un qualcosa su cui l’uomo può accampare dei diritti, ma sempre il frutto della misericordia. Nella Genesi leggiamo: «Questa volta essa è carne della mia carne, osso delle mie ossa» (Gn 2,23). Diremo che questa frase è l’unica che esce dalla bocca dell’uomo, e cioè un canto di gioia e di giubilo. Questo per dire che l’uomo finalmente ha qualcuno con cui dialogare, in cui riconoscersi e con cui costruire una “comunità di vita e d’amore”.[1]

San Giovanni Paolo II diceva che attraverso il sacramento del matrimonio, i coniugi sono chiamati a costruire tutti i giorni quest’originaria “comunità di vita e d’amore”. In questa chiamata, però, gli sposi hanno bisogno d’incontro con altri coniugi amici, che possono condividere il loro costruire una “comunità di vita e d’amore”, non solo, ma anche con i dolori e le loro sofferenze. La condivisione amichevole diventa una risorsa efficace per affrontare i periodi privi di gioia e serve di aiuto ai coniugi per poter scoprire che anche altri, come loro, hanno lottato contro le stesse difficoltà.

La cosa fondamentale è capire che se i coniugi pensano continuamente a loro stessi, ai loro problemi, ai loro dolori ed in particolare al loro passato, non possederanno mai la vera gioia del Signore. Il Cristo è uno Sposo che ama fino al sacrificio di sé stesso e al perdono delle offese. I coniugi, ricevendo lo Spirito, che li rende capaci di amare e di perdonare come lui ha amato e perdonato, sono sostenuti dalla sua donazione pasquale, perciò possono e devono amarsi come Cristo ama la Chiesa. La memoria della donazione di Cristo “riproduce” visibilmente l’Eucaristia. Essa è il dono della misericordia compiuto sulla Croce, ed è là che vengono sigillate le nozze dello Sposo e della Sposa.

Vale la pena sottolineare ancora che, secondo la teologia sponsale di san Giovanni Paolo II, il matrimonio è il fondamento della più ampia comunità della famiglia, poiché l’istituto stesso del matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati alla procreazione ed educazione della prole, in cui trovano il loro coronamento (cf. Gaudium et Spes, n. 50). È opportuno ribadire, però, che non si può pensare di costruire la società trascurando la propria famiglia. Essere con gli altri e per gli altri è il segno distintivo di un amore, che rifiuta di lasciarsi rinchiudere nella sua privatezza e ha imparato a guardare lontano. Tutto questo significa diventare giorno dopo giorno sempre più coppia innamorata dello Sposo e imparare a giocare la propria esistenza personale e coniugale per gli altri. I coniugi hanno bisogno di vivere l’amore sponsale, la carità coniugale e la cultura della misericordia, senza correre il rischio di chiudersi nel loro mondo. Gli sposi sono chiamati alla santità di vita all’interno della chiesa domestica. La santità però, non è da ricercare altrove o nonostante, ma proprio in e mediante la vita coniugale, lo stato e la dignità che essa comporta. Piccola chiesa domestica, la famiglia cristiana dovrebbe divenire segno visibile e concreto di misericordia e di speranza, spazio nuovo di relazione e di incontro. Essa è chiamata a decidere, a prendere posizione e non aver paura di vivere fine in fondo la vera presenza di Cristo nel sacramento delle nozze.

Infine, desidero dire a tutti coniugi che hanno il coraggio di viere fedelmente la loro unione sacramentale: “voi siete belli”, perché Dio-Amore che è in mezzo a voi, è bellissimo! Questa bellezza è l’unica della realtà del matrimonio, quando viene vissuta e testimoniata, dona al mondo intero il riflesso dell’amore trinitario trasformandosi nel segno visibile e concreto della infinita misericordia. Vi prego di vero cuore sacerdotale, non nascondete mai questa bellezza, l’umanità intera ha bisogno di essa per realizzare la volontà di Dio!

 sac. dott. Gregorio Lydek - ks. prof. dr Grzegorz Lydek

 

[1] Cf. E. Bianchi, Adamo dove sei? Ed. Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano (Vc) 1994, p. 108.