Non riuscirei mai a fare politica, lo ammetto. Ci vuole troppa inventiva e capacità aliene per escogitare retoriche sempre più sprovvedute e far finta di cadere perpetuamente in piedi.
Oppure dovrei limitarmi a essere onesto. Quanto può essere semplice e al tempo stesso sconcertante comportarsi in modo onesto. Tuttavia, questo concetto dell’onestà politica venne sconvolto circa un secolo fa da un illustre filosofo e politico come Benedetto Croce.
Egli riteneva che l’onestà politica fosse solo una “petulante richiesta” del popolo stupido (rectius: “inintelligente”), e riduceva la sua critica al rilievo di avere non uomini armati di buone intenzioni e tecnicamente capaci, ma uomini che fossero politicamente capaci. Un distinguo che provoca quella “dissonanza cognitiva” di cui ho già avuto modo di parlare. Per una qualche ragione Croce non riteneva importante la coesistenza dell’onestà della persona con l’onestà politica.
Per riflettere meglio su questo pensiero prenderemo in esame qualche brano dall’opera “Etica e Politica”, di Benedetto Croce, a cura di G. Galasso (Adelphi, 1994).
L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità. In qualche ramo dell’attività umana, che non sia peraltro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica.
Questo è il durissimo esordio con cui Croce condanna senza giri di parole chi si appella all’onestà politica. E faceva anche qualche notevole esempio.
[…] nessuno, quando si tratti di curare i propri malanni o sottoporsi a una operazione chirurgica, chiede un onest’uomo, e neppure un onest’uomo filosofo o scienziato, ma tutti chiedono e cercano e si procurano medici e chirurgi, onesti o disonesti che siano, purché abili in medicine e chirurgia, forniti di occhio clinico e di abilità operatorie, nelle cose della politica si chiedano, invece, non uomini politici, ma onesti uomini, forniti tutt’al più di attitudini d’altra natura.
Benedetto Croce compie un’operazione dialettica sottile, poiché vuole tenere distinti due concetti: l’onestà in senso lato, intesa come integrità morale in tutti gli aspetti della vita, slegati anche dall’abilità richiesta; e l’onestà intesa come capacità di esercitare una determinata professione con successo. In altre parole, si può essere disonesti nelle proprie attività private e sciolte dall’impegno politico o medico (gli esempi), rimanendo comunque onesti nelle proprie abilità.
E infatti chiarisce
«Ma che cosa è, dunque, l’onestà politica?» – si domanderà. – L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze.
Una retorica da navigato politico, quale egli era, che a mio parere adombra la caratura del filosofo che lo ha parimenti distinto. Egli non nega la coesistenza tra onestà integrale e abilità (onestà) politica, ma vuole farla addirittura coincidere e perire per annichilimento: ”onesta politica” come sinonimo di “capacità politica”. Ecco, dunque, cosa si deve intendere secondo Croce: un politico onesto è quel politico che sa fare politica nell’interesse del paese. Questo basti. Se è privatamente dissoluto, rubacchia, eccede in privilegi e fa ogni altra marachella, non deve rilevare fino a farlo diventare quell’“ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli”. E fa un ultimo esempio.
Perché è evidente che le pecche che possa eventualmente avere un uomo fornito di capacità e genio politico, se concernono altre sfere di attività, lo tenderanno in proprio in quelle sfere, ma non già nella politica. Colà lo condanneremo scienziato ignorante, uomo vizioso, cattivo marito, cattivo padre, e simili; al modo stesso che censuriamo, in un poeta giocatore e dissoluto adultero, il giocatore, il dissoluto e l’adultero, ma non la sua poesia, che è la parte pura della anima, e quella in cui di volta in volta si redime.
Il capolavoro di Croce arriva in punto di conclusione, quando si preoccupa di rispondere alla più ovvia delle obiezioni (in maniera altrettanto ovvia):
«Ma no,» (si continuerà obiettando), «noi non ci diamo pensiero solo di ciò, ossia della vita privata; ma di quella disonestà privata che corrompe la stessa opera politica, e fa che un uomo politicamente abile tradisca il suo partito o la sua patria; e per questo richiediamo che egli sia anche privatamente ossia integralmente onesto». - Senonché non si riflette che un uomo dotato di genio o capacità politica si lascia corrompere in ogni altra cosa, ma non in quella, perché in quella è la sua passione, il suo amore, la sua gloria, il fine sostanziale della sua vita.
A questo punto parrebbe molto difficile controbattere. Croce è chiarissimo: se si è innamorati di ciò che si fa, non è possibile tradire quell’amore a prescindere da qualunque dissolutezza e gravame etico di parte privata.
E’ pura dissonanza cognitiva!
Sebbene con apparente finezza, Croce opera delle notevoli forzature nel quadro di una riflessione tutto sommato improduttiva. A nessuno, infatti, importerebbe della vita privata “dissoluta” di un politico estremamente probo e geniale nel suo essere Statista. Di solito ci si accorge della disonestà di un politico perché questo non è affatto probo nel suo incarico svolto nell’interesse dei cittadini, ma pone avanti al cittadino il proprio interesse o quello del suo partito. E questo avviene ancor prima di poter giudicare la condotta morale privata di quel politico. Dunque l’onestà è sempre invocata in questa circostanza e veste.
Anche in ordine alle condotte private, e alla legittima richiesta dei cittadini di ammettere alla politica solo cittadini probi, la considerazione a cui risponde Croce si annulla nella considerazione stessa. Infatti, può verificarsi: tanto il fatto che la probità morale in senso lato sia la migliore premessa per ogni altra abilità/genialità espressa con la medesima integrità; quanto l’irrilevanza delle condotte discutibili rispetto all’attività eseguita con integrità integerrima.
E’ come quel bravo predicatore che non segue i suoi stessi sermoni; oppure quello che non sa predicare ma è estremamente bravo a seguire i propri dogmi. E in tal senso il ragionamento di Benedetto Croce si svuota di ogni significato di apparente pregio.
Ma c’è di più.
Se è pur vero che i vizi estranei all’attività politica possono essere tanto ininfluenti quanto invece rilevanti, non hanno tuttavia la stessa finalità oggettiva e dirimente. Invero, non può esservi dubbio che la probità morale che segue un’etica lineare in tutte le proprie condotte è anche garanzia di moralità politica, poiché questa non è altro che un’estensione della propria integrità nell’attività in cui si è abili e ci si impegna. Viceversa, qualunque ombra morale, come ad esempio il vizio del gioco d’azzardo, espone all’insuccesso nell’esprimere il proprio genio nell’attività politica, giacché quest’ultima può diventare fonte anche per alimentare il proprio vizio apparentemente privato e sconnesso.
L’onestà politica, insomma, non segue affatto i paradigmi del bravo medico dissoluto o del poeta truffatore, entrambi in grado di poter esprimere al meglio e con onestà le loro rispettive abilità. Mentre è invece oggettivamente più probabile che la piena onestà dell’individuo – in qualunque ambito dello scibile – costituisca eccellente garanzia per una politica di qualità e integra in ogni suo aspetto.
Non è dunque possibile aderire al ragionamento di Benedetto Croce in tema di onestà politica. E purtroppo, devo dire, nemmeno lontanamente possibile!
Base foto: un fotogramma de “Gli onorevoli”, film del 1963 con il grande Totò