Vai alla Parte II

La teoria dominante si rivolse a qualcuno che conosceva bene la famiglia e l’appartamento, un fumatore, robusto, con molti capelli. Due sospettati uscirono subito dalle indagini, troppo presto secondo certe opinioni.

Il dottor De’ Laurentis ( di cui non conosciamo l’aspetto), quasi amico di famiglia, che presentava anche qualche graffio in quei giorni, poteva essere impaurito da conseguenze della sua relazione con Angela, e da una eventuale gravidanza. Gli anatomopatologi che si occuparono delle autopsie, invitati da Augias, ovviamente vanno in polemica e non ne caviamo nulla, ma si propende verso l’assenza di gravidanza, anzi, per una mestruazione in corso, e nemmeno per un recente aborto. Noi ci limitiamo a osservare che, per un evento del genere, Gemma era la persona giusta per risolvere. Molti le attribuiscono, oltre al valore professionale nel parto, anche la pratica di aborti clandestini o  magari, chissà, nascite nascoste, seguite da traffico di adozioni. Insomma, se la gravidanza indesiderata, peraltro mai provata, fosse mai stato un problema, quella era la famiglia giusta per ovviare alla bisogna, senza coinvolgimenti e scandali.

Il pregiudicato calabrese fu lasciato stranamente in pace, eppure confrontare le sue impronte digitali con quelle rinvenute nell’appartamento si sarebbe potuto, allora o negli anni seguenti, con i progressi scientifici: si pensi al delitto dell’Olgiata, risolto ripescando una gocciolina di sangue su un lenzuolo… Perché il giudice Italo Ormanni non procedette? Delle indagini si occupò anche Felice Di Persia, magistrato più noto per le vicende legate al caso Tortora.

Negli anni duemila si è sostenuto che la prova del DNA avrebbe scagionato Turro, ma allora non si sapeva e, con quel che si aveva, ugualmente non si agì. D’altro canto, il DNA viene nominato già nel 1990 per l’Olgiata e certe analisi erano possibili con reperti meno stagionati, almeno per escludere.

Passa poco tempo, e spunta il sospettato perfetto: Mimmo Zarrelli, nipote di Gemma, fratello dell’avvocato Mario che aveva dato l’allarme.

E’ una sorta di vichingo, alto, possente, folta chioma bionda, sui 32 anni; conduce una vita spericolata, tra auto sportive e belle donne -  tra esse la compagna del momento, una ballerina di night giamaicana, tale Thompson - e ha fama di essere sempre in cerca di finanziamenti: un dissennato sibarita, di un’esuberanza vicina all’eccesso. Elenchiamo di seguito, senza sottoscriverli,  i punti che, secondo l’accusa e i colpevolisti in genere, gli andrebbero contro:

 - benchè nell’intervista a “Blu Notte” Mimmo sostenga di non aver conosciuto Domenico Santangelo, è impossibile che non avesse nemmeno mai visto lo zio acquisito. Dovrebbe spiegare che significa quel “ non lo conoscevo”: forse che non erano in confidenza? Significa poco;

- la zia Gemma aveva redatto una querela contro di lui, nel 1967, mai presentata, per patite lesioni da parte sua;

- il fratello avvocato, il citato Mario, che sarà anche suo appassionato difensore in aula, prima di dare l’allarme in questura, passa dallo studio di zia Gemma, con sua moglie e un'altra parente, la “Fausta”, in quanto quest’ultima è a conoscenza di certi scritti e foto osé che la defunta ( ma in quel momento loro ancora non lo sanno) conservava nell’ufficio e sua ex residenza, e portano via delle carte alla rinfusa. Mario Zarrelli sosterrà sempre che fosse un tentativo di recuperare un mazzo di chiavi di riserva di via Caravaggio, poi non trovato, il che sarebbe in contraddizione con quanto si afferma, ovvero che sua madre, sorella della vittima,  ne possedeva uno, dunque a che pro cercarne un altro? Davvero in un momento di gravi ambasce si pensa alle fotografie spinte, che poi si riveleranno inquadrature dal collo in giù? La navigata Gemma si teneva materiale compromettente in uno studio aperto al pubblico, dove si trovava anche una coinquilina? Non era forse quello, che avrebbe dovuto mettere al sicuro in una cassetta di sicurezza, ammesso poi che tenesse così tanto a conservare simili “ricordi”? 

 - Mimmo una volta aveva litigato furiosamente con la giamaicana, che era fuggita per le scale nuda.

- Egli presentava piccole lesioni sui palmi delle mani.

 - Il giovanotto guidava una coupé?

***

Tutto sommato, gli indizi si fermano qui. Alcuni aspetti rimangono neutri, come l’alibi presentato dall’indagato: si sarebbe trovato al cinema per vedere “Amici miei”, insieme alla Thompson. La fedele compagna conferma, ma non verrà creduta. La coppia non passava inosservata e alcune maschere ricordano di averlo visto, ma non possono essere del tutto certe del giorno. I maligni fanno notare che gli Zarrelli erano figli di un presidente di Corte d’Appello. Dopo i gradi di giudizio, infine Mimmo viene assolto con formula piena.

Rivediamo sinteticamente la storia senza pregiudizi. Un movente vero non c’è, per Mimmo Zarrelli, a parte la vendetta: ma a che rischio, avrebbe dovuto prendersela! Come è stato fatto notare, era grosso e un po’ pesante, appariscente, vistoso nei movimenti: difficilmente avrebbe potuto fare e disfare nelle ore notturne senza essere notato, sentito, spaccare, far danni. Lo scenario immaginato dagli accusatori si indebolisce man mano che lo si costruisce. Per esempio, quando vediamo il killer che fa una pallottola di stracci e la butta dalla finestra, per poi recuperarla in un secondo tempo; o si affaccia alla finestra, vi si aggrappa quasi, tanto da lasciare due chiare tracce delle mani, perché? Parlare con un complice? Quando poi, e questo si tace spesso, a piano terra dell’edificio c’era un ben frequentato pub, allora chiamato “ Il Rifugio”, che chiudeva piuttosto tardi. 

Dire che l’assassino aspettò le cinque di mattina per schivare i clienti del locale, è una bella carambola della logica: entra, ammazza, butta dalla finestra l’involto, parla con complici sporgendosi ben bene, tutto mentre il bar è aperto, recupera i panni sanguinolenti, fa un giro, torna per risistemare, e nessuno se ne accorge? E non bastasse, fuma un po’ dentro casa e lascia cicche per terra, butta pure i guanti che contengono sue impronte digitali. Siccome quei Santangelo gli sono proprio antipatici, non li lascia dove li ha ammazzati, ma li compone in modo beffardo, nondimeno rispetta la giovincella (dopotutto, poteva riversare anche lei, nella vasca del bagno padronale o in quello di servizio). Tutta una trama bislacca, che ovviamente dentro una condanna non avrebbe potuto entrare. Di Mimmo e della vita che ha condotto in seguito, poco si sa, tranne che nel frattempo è divenuto a sua volta avvocato penalista e si era sposato, ma sarebbe invalido da molto tempo.

Vero che negli anni duemila si è andati a pescare i reperti e si sarebbe trovato il DNA di Mimmo Zarrelli? Per nulla certo, invece. Pare che tutto sia partito da pressioni di “ familiari dei Santangelo”, ma gli Zarrelli affermano di non averne saputo nulla, dunque tutto si sarebbe svolto senza i loro avvocati,  in modo irrituale, in definitiva illegale. Nel 2013 , si legge, ciò che rimaneva sia stato prima esposto e poi distrutto.

L’uomo visto fuggire con la coupé? Il testimone non lo ha riconosciuto.

La querela meditata e mai presentata da zia Gemma? Era la conseguenza di un litigio familiare, una zuffa innocua. Mimmo, come si muoveva, rompeva qualcosa, tanto era esuberante e forzuto. Un legame tra i due? Il fratello dell’imputato e suo legale, Mario, irride a tale bizzarria, poiché, oltre che ingiuriosa , sarebbe assurda: Mimmo aveva tutte le donne che voleva, e bellissime.

Le lesioni sulle mani? Non erano compatibili né con coltellate, né con i morsi dello yorkshire Dick. Il giovane viveur napoletano se l’era procurate spingendo la sua auto in avaria. Quando eravamo ormai convinti dalle sue argomentazioni, ci balza agli occhi  che si tratta di una coupé e che pure lui, come lo zio ucciso, abbia avuto un problema all’auto negli stessi giorni, ma è coincidenza.

Sembra interessante ciò che racconta, in due diverse interviste, Tino Simonetti, figlio della signora che sentì dei rumori quella notte. All’epoca undicenne lui, un poco più piccola la sorellina, entrambi riportarono un trauma dagli eventi. Tino ricorda che il palazzo si svuotò perché acquistato da un’immobiliare, e gli unici abitanti rimasti erano loro. Nonostante la presenza di forze dell’ordine, per un certo tempo dopo la strage, un bel giorno trovarono il loro appartamento derubato e se ne andarono. Abbiamo la vecchia immagine di una festicciola di compleanno della famiglia Simonetti, mentre al piano di sopra giacciono i Santangelo.

Ci pare che sia stata troppo in ombra la figura di Angela, la giovane romantica, ma non meno misteriosa di padre e matrigna. Qualcuno provò, a suo tempo, a disegnarne un profilo, ma tutto è svanito durante i lunghissimi decenni. Proviamo a immaginare, in via ipoteticissima e con molte virgolette, un suo coinvolgimento.

Persa la madre per mano paterna, anche se involontaria, si ritrova subito per casa una matrigna forse indesiderata. Ha un lavoro e magari sogna un’altra vita. Apre la porta a un amico speciale che la conforta, di nascosto dagli altri, facendolo entrare dalla porta secondaria. Ma papà Domenico se ne accorge e ne nasce un putiferio? Oppure, l’ospite inatteso cerca un dialogo e riceve qualche minaccia di denuncia, così reagisce e poi deve disfarsi di tutti e simulare uno sfregio della malavita? Chissà.

***

Nel 2016, da quella via Caravaggio che a stento aveva fatto dimenticare il dramma per cui era divenuta famosa, arriva un altro enigma:

“Napoli. Via Caravaggio: ex tassista ucciso in casa, ancora mistero sulla sua morte”…Senza dare nell’occhio l’assassino ha varcato a piedi i cancelli del parco protetto da guardie giurate e si è diretto verso la palazzina immersa nel verde. È salito al quinto piano e ha bussato alla porta. Francesco Bosco, ex tassista 47enne, lo ha fatto entrare in casa senza immaginare di avere appena aperto al suo assassino. A distanza di 41 anni dall’ultimo mistero, via Caravaggio diventa teatro di un nuovo giallo: l’appartamento della palazzina in cui è stato commesso questo omicidio dista in linea d’aria solo un paio di centinaia di metri dal condominio degli orrori, quello in cui nel 1975 vennero trucidate altre tre persone…” Il Mattino, 22 aprile 2016
 

“ Napoli. Risolto il giallo dell’ex tassista morto di Via Caravaggio. Ecco le spiegazioni “…L’uomo, infatti, morì per un tragico incidente domestico: a queste conclusioni sono giunte le indagini della Polizia di Stato e della Procura. Non è più un giallo: a svelare il mistero che pareva racchiuso nell’abitazione della vittima ci hanno pensato le indagini tecniche svolte dagli esperti della Polizia scientifica…Bosco è morto  dopo la caduta accidentale di un’anta dell’armadio che si trovava nella camera da letto. Nella rovinosa caduta lo spigolo del cassettone si è conficcato nella parte posteriore del cranio dell’uomo, provocando una profonda ferita e, di conseguenza, la perdita di sangue…” Teleclubitalia.it, 19 settembre 2016.