Il Nevada è andato alla Clinton, che ha sconfitto Ben Sanders con il 52% dei voti, contro il 47 del suo rivale. In Carolina del Sud, trionfa Donald Trump, che con il suo 32% distacca di 10 punti Marco Rubio e Ted Cruz, rispettivamente al secondo e terzo posto.

I caucus del Nevada hanno visto un appassionante testa a testa fra i due candidati democratici, risoltosi a favore della ex-first lady con la conta dei voti provenienti dalla zona meridionale dello stato, quella più densamente popolata.

Per la prima volta si sono visti gli effetti delle minoranze etniche. In Nevada è forte la presenza di immigrati di origine sudamericana, che, insieme agli afro-americani, appoggiano la Clinton. Un distacco di soli 5 punti è stato, per alcuni, addirittura una sorpresa, tanto da far pensare che una discreta parte dei Latinos si siano lasciati convincere da Sanders, i cui buoni risultati in Iowa e New Hampshire erano dovuti prevalentemente al voto dei bianchi.

Per la Clinton il Nevada era una tappa importante. Lì aveva aperto il suo quartier generale già nel luglio del 2015, immediatamente dopo l'annuncio della sua candidatura, corteggiando sistematicamente i sindacati dei casinò e i rappresentanti dell'etnìa spagnola.

Nonostante il Nevada abbia risentito della recessione molto più degli altri stati, il messaggio di Ben Sanders per una maggiore giustizia sociale non sembra aver avuto molta presa fra la popolazione.

Sanders non è comunque fuori dai giochi. E' importante, però, che non faccia ancora passi falsi, perché altrimenti i vertici del Partito Democratico, che fino ad oggi non si sono espressi ufficialmente, ma che sono chiaramente dalla parte della Clinton, spaventati dall'eventualità di essere rappresentati da un "socialista", potrebbero presto rendere esplicite le loro preferenze.

Fra i repubblicani, Trump ha ottenuto una vittoria importante, anche perché, in base ai meccanismi elettorali del Sud Carolina, pur avendo ottenuto solo un terzo dei voti, si assicura tutti i delegati alla convention del suo partito.

La polemica con il papa non lo ha affatto danneggiato. Anche gli evangelici, che contano una forte presenza nello stato, lo hanno preferito rispetto a Ted Cruz, che, date le sue idee conservatrici, era considerato una sorta di loro candidato ideale.

Il senatore del Texas, che sabato ha preso parte ai funerali del giudice Scalia, ha dichiarato che le prossime elezioni presidenziali saranno una sorta di referendum sulla Corte Suprema, e si è detto impaziente di scontrarsi con la Clinton e con Sanders, su temi quali l'aborto, il matrimonio fra persone dello stesso, la libertà religiosa ed il diritto a portare armi, sancito dal Secondo Emendemanto, temi su cui la corte è chiamata a pronunciarsi nei prossimi mesi.

La notizia del giorno è anche il ritiro della candidatura da parte di Jeb Bush, che, nonostante potesse disporre di oltre cento milioni di dollari per la sua campagna elettorale e potesse contare anche sull'appoggio della vecchia guardia del suo partito, non ha mai superato il 10% nei sondaggi. Probabilmente, quello che trarrà maggior vantaggio dal ritiro di Bush, è l'altro candidato proveniente dalla Florida, il senatore Marco Rubio, che non ha mancato di esprimere il suo apprezzamento per l'ex-governatore.

Il prossimo sabato si invertiranno le parti, con i repubblicani in Nevada e i democratici in Carolina del Sud, in attesa del grande scontro nel Super Martedì, il primo marzo.