Il 2 febbraio 2017 è stato firmato il "Memorandum d'intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all'immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana".

A siglare l'accordo, le firme del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e del primo ministro del Governo di Riconciliazione Nazionale libico Fayez al-Sarraj.

L'accordo mira a ridurre il traffico di migranti attraverso il Mar Mediterraneo, tramite un maggiore sforzo in tal senso della Guardia costiera libica, con Tripoli che si impegna anche a migliorare le condizioni dei propri centri di accoglienza per migranti.

Che cosa offre in cambio l'Italia? "Sostegno e finanziamento a programmi di crescita nelle regioni colpite dal fenomeno dell'immigrazione illegale, in settori diversi, quali le energie rinnovabili, le infrastrutture, la sanità, i trasporti, lo sviluppo delle risorse umane, l'insegnamento, la formazione del personale e la ricerca scientifica".

Inoltre, l'Italia si impegna "a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l'immigrazione clandestina, che sono rappresentati dalla guardia di frontiera e dalla guardia costiera del Ministero della Difesa, e dagli organi e dipartimenti competenti presso il Ministero dell'Interno".

Nella realtà, però, la Guardia costiera libica, quella che riceve gli aiuti economici italiani e adesso è anche impegnata nella guerra civile in corso nell'area di Tripoli, è formata da milizie locali che hanno spesso obiettivi diversi dal soccorso in mare e che sono direttamente e indirettamente colluse con i trafficanti di esseri umani.

A dimostrazione di ciò la vicenda portata alla luce da Nello Scavo per Avvenire, in cui il giornalista ci ha fatto sapere come l'Italia abbia consentito l'ingresso nel Paese ad un ufficiale della Guardia Costiera libica, Abd al-Rahman al-Milad detto Bija, che ha così potuto partecipare a riunioni istituzionali sul tema migranti e ha visitato un centro di prima accoglienza e la sede operativa della Guardia Costiera a Roma. Tutto questo nonostante l'ONU già lo considerasse un criminale, trafficante di migranti.

Di quel memorandum è stata criticata anche la parte relativa al "sostegno e finanziamento a programmi di crescita nelle regioni colpite dal fenomeno dell'immigrazione illegale" che alcune ong, ad esempio Emergency, hanno interpretato come strumento per nascondere finanziamenti diretti ai trafficanti di esseri umani che vengono così pagati dall'Italia per non far partire barche e gommoni dal nord Africa.


Quel memorandum è in scadenza, ma il rinnovo è automatico. E sarà quasi sicuramente rinnovato, nonostante le numerose testimonianze riguardanti le azioni criminali compiute dalla cosiddetta Guardia costiera libica, le terribili condizioni in cui versano le persone tenute prigioniere nei campi di detenzione, le accuse e le denunce dell'ONU e degli organi internazionali sulla situazione dei migranti in Libia. A queste considerazioni, si aggiungono anche le domande sulla natura degli accordi in essere, rivolte ufficialmente ai precedenti governi, ma finora rimaste sempre senza risposta.


Quindi, nonostante questo governo dovesse segnare una discontinuità rispetto al cosiddetto cambiamento, in realtà, anche sul tema migranti, si è distinto poco o nulla rispetto al passato, cercando di ricorrere all'ipocrisia quale strumento per mascherare la propria ignavia.

Così la prossima settimana, la ministra dell'Interno Lamorgese, richiamandosi ad un articolo del memorandum, comunicherà al Parlamento che ne rinegonezierà alcuni punti con la Libia per migliorare soprattutto le condizioni di vita dei migranti nei centri di detenzione, come aveva anticipato il ministro degli esteri Di Maio. Nella sostanza, però, tale decisione è unicamente una mossa d'immagine, perché il memorandum, di fatto, è già stato rinnovato automaticamente.


Dalla prima approvazione del memorandum, l'Italia ha dato 150 milioni di euro alla Libia, un Paese in mano a milizie armate - adesso anche impegnate in una guerra civile - che ha ampiamente dimostrato di non essere assolutamente in grado di offrire alcuna garanzia sul rispetto dei diritti umani e della vita delle persone.