Politica

I mali della giustizia penale italiana spiegati agli studenti americani

L'INTERVISTA a Vincenzo Musacchio degli studenti della “School of Public Affairs and Administration (SPAA) della Rutgers University di Newark (USA)”. 

Newark, 30 luglio 2021 - Vincenzo Musacchio, giurista, criminologo, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA), oltre ad essere ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera, il giurista è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia nella seconda metà degli anni ’80.


Professore, cosa direbbe a un giovane che vuole intraprendere gli studi in Giurisprudenza?
Gli direi che è un’ottima scelta, purché si sia convinti e si studi con passione. Questa Facoltà non è come tutte le altre, va intrapresa con sentimento, passione, senso di responsabilità e grandissima dedizione. Ai giovani dico di non scoraggiarsi, di non avere paura, e di farsi guidare sempre da scienza, coscienza e conoscenza.

Lei ha più volte denunciato i mali della giustizia penale italiana. Spiega brevemente le cause di questi mali anche a noi studenti di un'altra Nazione?La giustizia penale italiana è malata da tempo e soffre di una malattia che ha una causa ben precisa: l’immobilismo. Non si prendono le decisioni per agire e per risolvere la malattia. Abbiamo una legislazione immensa, caotica, le leggi cambiano di continuo e sempre in peggio. Il diritto penale è afflitto da così tante incriminazioni che nessuno è in grado di conoscerne l’esatto numero. Si vuole risolvere ogni problema brandendo il diritto penale come arma. Di fronte a una valanga di violazioni penali si tengono conseguentemente una marea di processi e il sistema logicamente s’ingolfa. 

Il male più grave che in questo momento affligge la giustizia penale italiana? Senza dubbio alcuno l’immenso universo di fattispecie incriminatrici. 

Quale il rimedio più efficace?Il punto di partenza non può che essere la depenalizzazione, ridurre cioè il carico delle violazioni di natura penale. 

Di chi sono le colpe di questa crisi?Della politica, della magistratura, dell’avvocatura, del corpo sociale. Quando un’alluvione fa tanti danni è un po’ colpa di tutti poiché ognuno ha le proprie responsabilità, spesso di natura omissiva. 

Dopo lo scandalo Palamara, la magistratura ha ulteriormente perso di credibilità, come si può porre rimedio a questa crisi? La riforma della magistratura dovrà inevitabilmente ripartire dal bilanciamento tra potere in mano al magistrato e sanzioni in caso lo usi in maniera distorta. Autonomia e indipendenza del magistrato non possono condurre a un’idea d’impunità assoluta della categoria. Vorrei, però, ricordare che le condotte contestate a Luca  Palamara erano note già da molti anni a chi conosce il mondo della magistratura. I rapporti stretti fra toghe e politica, con buona pace dell’autonomia e dell’indipendenza del Csm, ci sono sempre stati. 

Un tema a lei caro è l’indipendenza della magistratura. Lei è favorevole alla separazione delle carriere. Ci spiega perché?L’indipendenza dei magistrati in questo momento è a rischio. Il processo penale di matrice accusatoria richiederebbe un pubblico ministero fuori dell’ordine giudiziario. In questa tipologia di processo è, di fatto, un corpo separato. Non vedo negativamente neanche la sua dipendenza dall'esecutivo. Il pubblico ministero è parte. Il giudice è terzo. Sono cosciente che la mia opinione sia presumibilmente quella di un povero visionario e utopista.

Che cosa pensa del caso della cd. Loggia Ungheria?Sono amareggiato. Sono situazioni create ad arte, le cd. polpette avvelenate, che hanno lo scopo di creare scompiglio. Colpiscono spesso innocenti e sono di solito infondate. Ora se ne sta occupando anche la magistratura per cui presto vedremo cosa ci sia di vero.

Secondo lei questo periodo rappresenta il momento più difficile della storia della magistratura italiana? Non credo. Ci sono stati momenti molto più difficili. La lotta al terrorismo, quella contro le mafie, quando si uccidevano i magistrati come mosche. Io allora ero molto giovane e fui tra i primi del movimento studentesco di sinistra a criticare la lotta armata e quei momenti terribili che visse la società italiana.

Come se ne esce?L’autonomia dei magistrati va preservata con il rigore dell’etica e della deontologia professionale. Rendere giustizia vuol dire seguire la strada dell’equilibrio, dell’indipendenza e dell’assoluta imparzialità del giudizio. Questa è l’unica vera grande riforma della magistratura che però risiede essenzialmente nei meandri della più profonda e inspiegabile personalità dell’essere umano.

Professore lei è tra i maggiori esperti di strategie di lotta alla criminalità organizzata in ambito internazionale, ha collaborato recentemente con Peter de Vries, assassinato dalle mafie in Olanda, crede che la riforma della giustizia in atto possa danneggiare la lotta alle mafie?Guardi non voglio criticare una riforma che ha anche alcune note positive. Per quanto ho potuto leggere, purtroppo, non credo produrrà passi in avanti nella lotta alle mafie e alla corruzione. Prima si riorganizza il sistema giudiziario nel suo complesso con risorse umane e materiali e poi si può anche stabilire che se i processi in appello non si concludono entro un certo tempo, si cancellano. Ovviamente questo tipo di riforma è prodromico a una vastissima opera di depenalizzazione. Se mancherà questa fase, la riforma sarà destinata al fallimento. 

Possiamo farle una domanda molto personale che esorbita dal tema? Come mai lei è nominato a incarichi prestigiosi sempre da organismi di Nazioni straniere?“Nemo propheta in patria”. Frase che sarebbe stata pronunciata da Gesù con riferimento all'accoglienza piuttosto fredda tributatagli dai suoi conterranei durante la liturgia della sinagoga. Devo dire che in ambienti estranei per me è stato sempre più facile far valere le mie capacità. Se a questo aggiungiamo che in Italia il merito non esiste e la competenza spaventa, il cerchio si chiude.  Il mio curriculum è stato valutato positivamente negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Spagna e in tante altre Nazioni del mondo mentre nella piccola Università del mio Molise non ho avuto neanche risposta a una mia proposta d’insegnamento.

Autore SCUOLA DI LEGALITA DON PEPPE DIANA
Categoria Politica
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