Il dramma cancellato dei comunisti italiani deportati dai compagni jugoslavi.
Appartiene alla storia l'esodo degi italiani residenti in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia come è storica l'accoglienza poco "fraterna" che 350.000 profughi ricevettero in Italia, in parte giustificata dalla mancanza di risorse ad appena 2/3 anni dalla fine di una guerra che aveva praticamente cancellato l' economia del paese.
Il PCI di fronte alla sconfessione così clamorosa della "bellezza" del paradiso socialista, fu in prima linea a definire, senza mezzi termini e senza distinzioni, "fascisti" quegli italiani che avevano preferito abbandonare ogni cosa piuttosto che ridursi a vivere in un pase governato dal comunista Tito e dai suoi scherani. I compagni italiani misero nello stesso calderone i veri fascisti che avevano aizzato il risentimento delle genti jugoslave con tutti gli altri che non c'entravano niente!
Ma a lato di questa storia ce n'è un altra più singolare, ed è quella delle maestranze comuniste italiane che compirono l'esodo inverso.
Se l'esodo italiano dalle campagne dalmate e giuliane era stato prontamente fronteggiato da torme di contadini jugolavi pronti ad accaparrarsi le terre abbandonate dagli italiani, nelle fabbriche e nei cantieri navali i posti specializzati lasciati dagli italiani non trovavano possibilità di rimpiazzo data l'inesistenza di manodopera jugoslava qualificata.
Fu così che il PCI riuscì a convincere circa duemila operari e tecnici specializzati impiegati in cantieri e fabbriche in prevalenze venete a trasferirsi con le famiglie in jugoslavia per rimpiazzare le maestranze che avevano preferito l'esodo verso il nostro paese.
Si trattava di comunisti duri e puri ottusamente adoratori di Stalin e delle sue politiche.
Inizialmente tutto fu rose e fiori e questi compagni vennero accolti a braccia aperte dai fratelli d'oltre Adriatico, ma poi avvenne che Tito osò ribellarsi a Stalin rifiutandosi di sottostare alla dittatura del Cominform che prevedeva, per tutti i paesi aderenti, l' obbedienza cieca e assoluta a Mosca.
I duri e puri non potevano tollerare una ribellione al compagno Stalin e invece che starsene buoni buoni, iniziarono a manifestare in favore del "piccolo padre" e quindi in contrasto con le decisioni di Tito, il quale non se lo fece ripetere due volte a prenderli di peso ed internarli nei campi jugoslavi che nulla avevano da invidiare ai lager nazisti a ai gulag sovietici.
Proteste e appelli di questi deportati verso il PCI di Togliatti, rimasero inascolati per l'evidente imbarazzo del partito a dover prendere una posizione contraria a quella di altri comunisti, sconfessando così la "fratellanza".
La cosa andò avanti fino alla morte di Stalin che consentì un riavvicinamento di Tito a Mosca e questi italiani poterno finalmente essere liberati.
Ma se ostile fu l'atteggiamento del PCI verso i 350.000 profughi del 1947 peggiore si rivelò quello riservato a questi illusi/disillusi perché testimoni scomodi di cosa avveniva realmente nel preteso "paradiso" socialista".
Poche sono le testimonianze di queste vicende perché per cancellarle il PCI si premurò di far sparire ogni documento che ad esse si riferisse.