La Corte territoriale attribuiva all’imputato la paternità di quello scritto sulla base, da un lato, del movente rappresentato dalla conflittualità tra il sovrintendente ed il ricorrente/imputato, dall’altro della provenienza di esso dall’indirizzo IP dell’utenza telefonica dell’abitazione dell’imputato, ritenendo inidonea a configurare ragionevole dubbio l’astratta possibilità del c.d. furto di identità e cioè che un terzo avesse sfruttato la rete wireless del prevenuto per postare lo scritto diffamatorio.
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