L’ultima volta abbiamo parlato di “piccoli” aggiustamenti necessari alla nostra sanità pubblica. Dovremmo ora parlare di come va riformato il resto del welfare per chiudere il cerchio delle riforme strutturali essenziali. Ma prima ho deciso di anticipare l’argomento soldi: le risorse economiche necessarie per fare tutto quello che abbiamo proposto nella pratica, sicché dire e fare coincidano e vada tutto liscio come l’olio (si fa per dire…).
Occorre muovere da una solida premessa, altrimenti diremmo cose facilmente riconducibili alle opinioni personali, al rischio delle “quattro chiacchiere tra amici". Allora ancoriamo subito la premessa alla favola della “crescita infinita”. Il parametro del PIL, secondo economisti e ministri che si succedono nei vari governi dovrebbe crescere sempre e comunque di anno in anno, per assicurare benessere e prosperità, ma è appunto una favola! Lo si evince partendo dalla disarmante evidenza che in questo nostro pianeta terra le risorse sono quelle che sono: limitate, finite! Peraltro non si opera alcun riciclo ottimale né sostenibilità nei consumi: già la Global Footprint Network da un’idea di quanto si è consumato, mentre il “giorno del giudizio” (per così dire) lo rileviamo dall’Earth Overshoot Day. Risorse spicciole, per dare comunque un’idea immediata della situazione.
Cionondimeno la crescita potrebbe anche essere infinita, a patto però di avere accesso all’universo altrettanto infinito e padroneggiarne materia ed energia come pare e piace. Vi risulta? Non adesso, immagino. Dacché si accede a un’altra più che banale constatazione: se avessimo accesso a risorse infinite, perché mai avremmo problemi nel distribuire ricchezza a tutti? Quindi tutti potrebbero avere tutto. Evidentemente, il fatto che non sia così ci riporta alle risorse finite, che dobbiamo gestire con giudizio e parsimonia. E finite lo sono anche osservando che il debito pubblico (italiano o mondiale) aumenta anch’esso a dismisura. Esso è l’indicatore economico che sferra la zappa sui piedi agli economisti pro-sistema, poiché la sua crescita quasi esponenziale, tutt'altro che armonica al PIL, non fa che denunciare formalmente l’inefficienza del sistema stesso.
Quindi il PIL cresce solo se qualcuno prende di più da qualche altro: aumenta la ricchezza dei pochi e contestualmente aumentano poveri e debiti. E anche in questo modo, quando il travaso risulterà completo, ci sarà un brusco shock: non crescerà null’altro, si verificherà il famigerato “default”, e molti faranno la fine degli animaletti infestanti nelle torride stagioni estive o autunnali. Alcuni lo chiamano anche “reset”, ed è forse più corretto perché storicamente una curva discendente è sempre seguita da una ascendente (si pensi alle grandi guerre), con a volte stati di fibrillazione intermedi determinati da crack finanziari, bolle speculative, piccoli conflitti, ed eventi naturali come la recente pandemia. Insomma, un’economia paragonabile all’onda sporca della corrente alternata.
E’ comunque un’economia stolta. Chi la sostiene e difende non è tuttavia stupido, ma semplicemente cinico o incapace: «Fatti due conti, io e i miei figli (ndr, i meno cinici considerano almeno i figli), riusciamo comunque a spassarcela finché campiamo. I posteri si arrangeranno… se la caveranno…».
Penso che tutto questo sia a prova di qualsivoglia smentita, e non ci obbliga a ricercare altri pilastri sui quali poggiare la nostra prima affermazione (e ce ne sarebbero). Allora diciamolo subito: è necessario dare un'aggiustatina a questo sistema economico capitalista disfunzionale.
Come vedete vorrei andarci cauto. Non dobbiamo per forza demolire un sistema e sostituirlo ex novo; non dobbiamo per forza ancorarci all’economia dell’astronauta di Boulding (ma ci siamo vicinissimi), alle riflessioni di Chomsky, alle “liquidità” di Bauman, alle demonizzazioni marxiste del capitale, e via discorrendo. Perlomeno non ora. Proviamo a salire solo il gradino successivo e osservare modifiche conservative e ragionevoli - già rivoluzionare, come vedremo - risanando se possibile il sistema.
Partiamo con l’individuare il problema pratico centrale: l’immobilizzazione dei capitali, che per semplicità chiameremo CI, Circuito delle Immobilizzazioni.
Se 100 famiglie guadagnano la cifra appena essenziale di 1.500 euro al mese, abbiamo un ricircolo prossimo al 100% di quel denaro. Questo perché l'acquisizione dei beni di consumo essenziali alla vita non consente di poter alimentare il CI immobilizzando (rectius: risparmiando) denaro. La continua reimmissione nel circuito degli acquisti, per come funziona il sistema capitalistico dei consumi, consente in tal caso il massimo dei benefici da quel denaro circolante, ossia liquidità immediata e continua, gettito per lo Stato (imposte e tasse), e peraltro da una classe che potremmo definire “povera”.
Chiameremo quest’altro: CL, Circuito di Liquidità antagonista del CI.
Quando il denaro abbonda, e quindi si può risparmiare/investire, aumenta il CI e conseguentemente si riduce il CL, e si riduce tremendamente. Per esempio uno studio di UBS Banca del 2019 fa emergere che i “super ricchi” usano una liquidità pari a meno dell’8% della propria ricchezza. Tutto il resto viene immobilizzato in asset d’investimento, e questo si traduce in capitali immobilizzati principalmente in strumenti finanziari, equities e bonds. Da essi ovviamente si traggono interessi sul medio-lungo periodo, incrementando sempre più la percentuale d’immobilizzazione sul CI.
In minor parte interessa anche le classi agiate. Nell’insieme, lo scorso anno Bankitalia stimava una parte di CI in ben 10 mila miliardi, stipati in depositi bancari e postali (quindi escluso il patrimonio immobiliare, che in Italia vale circa 6.000 miliardi). L’Italia è notoriamente un paese di risparmiatori (già nella top ten mondiale), e se considerassimo un ipotetico rapporto tra debito pubblico e CI l’Italia, con il suo 28%, risulterebbe sicuramente il primo paese al mondo (il quarto, invece, tra debito e PIL, con l’attuale e orribile 150%): solo con gli investimenti privati in asset (circa 1.300 miliardi) il debito pubblico sarebbe già dimezzato, e prelevando qualcos’altro dai 10 mila miliardi visti prima lo si azzera completamente. Resterebbe comunque il 72% di ricchezza privata nel CI. Comunque impensabile colpire il risparmio privato, anche di poco, e anche se immobilizzato per arricchire i super ricchi in un circolo vizioso e stagnante. O forse no, bisogna capire meglio; perché il dubbio, il “mai dire mai”, è la luce che illumina l’intricato sentiero del progresso.
Una prima luce potremmo accenderla inventando un ulteriore indicatore: il PILCI, cioè il rapporto tra PIL e CI. Nel nostro caso il PIL/CI va però calcolato considerando il CI accumulato su base storica (quei 10 mila miliardi che risultano oggi) e il PIL tipico “nominale” annuo. Scelgo il PIL nominale perché affetto dall’inflazione, così come lo è per forza di cose il CI accumulato. In ambedue i casi, quindi, denaro reale e disponibile senza correttivi sul potere d’acquisto.
Nell’ultimo anno, il rapporto PIL/CI risulterebbe quindi pari al 19% circa, e ciò significa che risulta immobilizzata una cifra pari a oltre 5 volte il PIL! E siamo quasi i primi anche in questo, dato che secondo i miei calcoli siamo forse dietro agli USA, i più ricchi di sempre in termini assoluti ma nello stesso rapporto tra il 18/19% come in Italia: anch’essa, dunque, molto ricca. Così nessun altro paese al mondo, sebbene tutti i paesi capitalisti abbiano un rapporto sempre di diverse lunghezze avanti rispetto al relativo PIL.
Il denaro è una risorsa finita che non può essere accumulata e immobilizzata così, ma deve circolare per poter assolvere alla sua unica funzione di scambio. In un'economia capitalista perfetta il PIL/CI dovrebbe essere una violazione di calcolo matematico (divisione per un CI pari a zero), in quanto il denaro dovrebbe far parte interamente del CL, circuito di liquidità, come forzatamente accade tra i più poveri nell’esempio visto all’inizio. Naturalmente con un welfare altrettanto perfetto.
Ma la perfezione non esiste, come perfetto non è questo capitalismo con le due maggiori aberrazioni: l’esistenza di un PILCI incompatibile col capitalismo stesso; e la crescita infinita che genera debito esponenziale e default inevitabili (o “reset” periodici).
Le due cose sono - fortunatamente - strettamente collegate, e sarebbe sufficiente agire sul PILCI per annullare l’esigenza della crescita infinita determinando tutto il gettito necessario per qualunque riforma, rendendo l’Italia, come ogni altro paese, molto più equo, equilibrato e senza problemi nel cercare sempre nuovi strumenti per finanziarsi. E’ un’alternativa per chi non vuol sentire parlare di tassazione progressiva e limite alla ricchezza in senso lato, ma è un limite scientifico alla sola ricchezza immobilizzata, pienamente compatibile con il sistema capitalistico.
Banalmente, tutto ciò che serve è stabilire tale limite da raggiungere entro un tot di anni. Poniamo la soglia del 100% da raggiungere entro 10 anni, che significherebbe un rapporto 1:1 tra il PIL e la ricchezza privata cumulabile e immobilizzata in asset e quant’altro, il CI. Tutto il resto va speso, deve circolare, diventare CL. Per fare un esempio, il ricco che guadagna 100 milioni di euro l’anno, non potrà possedere più di 100 milioni in asset, mentre il resto dovrà necessariamente spenderlo: creerà nuove aziende, assumerà maggior personale, aumenterà gli stipendi, parteciperà a venture capital e crowdfunding come se non ci fosse un domani, farà ripulire le sue piscine 2 volte al giorno anziché una volta a settimana, o quello che gli pare. Nessuno, quindi, gli sta togliendo niente. Il ricco guadagni pure quello che vuole a patto di spendere il proprio surplus in beni/servizi tangibili. E se proprio non sa spendere si può sempre costituire un fondo statale dove far confluire il non speso, finanziando nuove aziende, idee, progetti, cultura, ricerca, e così via.
Non stiamo mettendo altri limiti. Il sistema capitalistico è conservato e si pone solo quel limite alle immobilizzazioni, esaltando quindi uno dei suoi capisaldi più importanti: il denaro deve circolare!
Ponendo il limite al PILCI, in quei 10 anni l’Italia reimmeterebbe circa 8.000 miliardi di euro nel circuito di liquidità, senza nemmeno considerare gli eventuali incrementi in quegli stessi anni. Provate a calcolare quante cose si riescono a finanziare con il gettito derivato da imposte e tasse su tale denaro reso circolante, senza alcuna necessità di ritoccare fasce e aliquote.
Ma se nemmeno questo sta bene allora dobbiamo proprio tornare a parlare di tassazione progressiva e limiti alla ricchezza cumulabile. E lo faremo nella seconda parte di questo capitolo, per completezza e per capire quanto denaro abbiamo perso nel tempo con modifiche irragionevoli al sistema capitalistico, a discapito del gettito e dei servizi pubblici essenziali, e per accontentare - evidentemente - le brame di accumulo in quel CI tanto amato da ricchi (e poveri, ma loro solo per paura e necessità).
Già, comunque, sappiamo dove stanno i soldi e quale (in)utilità ci sarebbe a farli stare lì, dove stanno, e non invece a circolare come dovrebbero.
📸 base foto: DALL-E (IA), su input “Riforme e società stile Banksy”, 24/04/2023