Non ci sarebbe bisogno di spiegare un bel tramonto, il suono del mare all’alba, il bosco rigoglioso che si staglia tra valli e monti, una mamma che allatta il suo bambino. E nemmeno si deve spiegare il bullo che maltratta un suo simile per il perverso godimento che dovrebbe compensarne il più antico disagio. Sono tutte cose per sé evidenti, con emozioni inequivocabili e significati di calma o rabbia su cui c’è poco da disquisire.

Basta osservare. Il significato è lì, lampante, etico.

Ho avuto qualche difficoltà nel pensare a come poteva essere la seconda parte di questo capitolo. Mi capita spesso quando devo parlare di cose evidenti che non avrebbero necessità di alcuna spiegazione; e così trovando stupida, superflua, inadeguata, qualunque dimostrazione mi venga in mente sulla questione. Nella prima parte c’era una ragione, perché non tutti conoscono a fondo il sistema capitalistico e il suo principale meccanismo che impone una massiccia e costante circolazione di denaro, e dunque viene più facile parlarne. Ma adesso, che dobbiamo guardare alla seconda cospicua possibilità di “trovare” denaro per le nostre riforme, e quindi parlare anche dell’inattuata tassazione progressiva, mi risulta piuttosto complicato rappresentare ciò che in tale argomento dovrebbe essere già di abbagliante e intuitiva comprensione.

E’ sotto gli occhi di tutti, ma nessuno lo vede?

 Il grafico in fig. 1 dovrebbe essere cristallino. In particolare si distinguono due montanti di aliquote IRPEF che giungono progressivamente a cifre di reddito vertiginose, che a volerli tradurre in forma matematica ricordano i grafici di funzioni comprese tra il quadrato di un numero e il logaritmo. Sono i montanti che riguardano il primo decennio (1973-82) dall’introduzione dell’odierno sistema di tassazione sui redditi. A seguire gli altri montanti che si sono succeduti in circa una decina di “riformine” fiscali che li hanno praticamente appiattiti facendoli affollare tutti nella fascia dei primi 30 mila euro, e rendendone difficile anche la lettura.

Rivediamo lo stesso grafico in una proiezione ancora più nitida, e con qualche didascalia in più, nella successiva fig. 2.

 

Non occorre aggiungere altro rispetto a quanto è stato già integrato nel grafico stesso. Ma possiamo rafforzare ulteriormente tale realtà attraverso una delle numerose correlazioni fruibili in tema di disuguaglianze sociali che seguono armonicamente l’appiattimento dei montanti IRPEF (e ovviamente non solo di quelli). Quindi vi propongo anche la lettura del grafico in fig. 3.

 

Com’era ovvio intuire, all’appiattimento dell’IRPEF segue il maggior arricchimento di chi ha la fortuna di pagare meno tasse, accumulando più ricchezza che necessiterebbe un numero di anni di reddito sempre maggiore per essere (teoricamente) raggiunta dagli altri. Naturalmente il problema riguarda tutti i paesi occidentali. Nel grafico ce ne sono solo alcuni, ma essendo una realtà negativa è anche logico notare che l’Italia stracci tutti: noi abbiamo usualmente il primato sulle condizioni negative.

I governi passati, di ogni colore, hanno sostanzialmente favorito l’arricchimento dei pochi abbassando a costoro le tasse in maniera puntuale e continuativa. D’altra parte, il montante IRPEF sui redditi bassi non è mai stato seriamente ritoccato. Da quelle parti, come mostrano i grafici, c’è solo stata una confusione enorme, un caos stravagante di aliquote ritoccate e scaglioni che slittano sempre di prossimità, col fine unico e più probabile di far quadrare i conti “alla femminina” e giocare su sgravi, detrazioni e no tax area solo per non mandare definitivamente all’aria gli ultra poveri, secondo il famoso principio della rana bollita. Al peggio pare non ci sia mai fine, infatti quest’ultimo governo in carica ha perfino dichiarato guerra agli ultra poveri.

Se si sa usare un qualunque foglio di calcolo tipo excel, e si vuol toccar con mano ciò che l’evidenza mostra, basta prelevare i dati delle dichiarazioni sul sito del MEF e determinare cosa succede negli anni su un reddito, poniamo, di 100.000 euro. Solo negli ultimi tre anni il cittadino che guadagnerebbe tale cifra risparmia cumulativamente circa 3.200 euro di IRPEF. Ma le vere vergogne si trovano man mano che il reddito cresce in una congrua forbice temporale.

C’era davvero bisogno di scriverlo e provarlo per l’ennesima volta e nell’ennesima forma? Mi è anche difficile comprendere cosa aspettino davvero gli italiani per mandare all’aria questo sistema che li ha già ridotti in mutande. Occorre pretendere un sistema più equo: che i soldi vengano spesi in un reale e funzionale sistema capitalistico, se è questo che si vuole, come già argomentato nella parte precedente del capitolo; oppure che si riporti il sistema impositivo ai canoni di progressività stabiliti dalla nostra Costituzione, a partire dall’IRPEF di cui ci stiamo occupando (e figuriamoci a fare entrambe le cose…).

Chiudiamo con un esempio che è stato già anticipato in una delle didascalie del grafico in fig. 2, chiarendo meglio come si ottiene quel gettito di 35 miliardi di euro in più per mezzo di aliquote marginali progressive che non si fermino solo a quel 43% dai 50 mila euro in avanti, al quale siamo tristemente arrivati con le due ultime riforme fiscali.

 Come già visto anche in fig. 2, in fascia “P” ci sono il 78% degli italiani e poco meno della metà di tutto il reddito IPREF dichiarato. L’altra metà è in fascia “R”, dove ci sono il restante 22% di cittadini. Per il calcolo dell’AMQ (Aliquota Media Equa) il criterio è stato semplice ed è solo uno dei tanti possibili su ciò che la scienza delle finanze chiama “progressività continua”, assorbito dall’art. 53 della nostra Costituzione.

E’ stato preso il reddito medio pro-capite (RM) che risulta pari a 22,8 mila euro lordi l’anno e paga il 15,01% di aliquota media (AMb) sul netto IRPEF nella fascia 20-26 mila euro. Presi questi dati a base si è calcolata la capacità contributiva (CC) di ciascuna altra fascia di reddito estraendo la radice di un radicale (radice nidificata) della capacità contributiva e moltiplicandola per la percentuale dell’aliquota media, così ricavando l’AMQ per ogni altra fascia di reddito. Infine, per ammorbidire e uniformare il montante dell’AMQ risultante si è calcolato il relativo logaritmo naturale (anche perché il MEF rilascia dati solo in forma aggregata).

La cosa (non tanto) straordinaria è che questo banalisssimo sistema ci ha portato dalle parti di quelle che erano le aliquote marginali del primo decennio dell’IRPEF, quando avevamo 32 aliquote. Era quella la strada giusta? Ad ogni modo, i soldi ci sono e non c’era nemmeno bisogno di dimostrarlo. Che si vogliano far circolare, come discusso nella parte precedente, o che si vogliano pescare nelle tasche dei più ricchi, i soldi ci sono!

Gli italiani in fascia “P” possono però continuare a stare zitti, lavorare e prendersela con i percettori del de cuius Reddito di Cittadinanza, senza nemmeno protestare per un misero salario minimo di 9 euro. E mentre sono ancora caldi i commenti al veleno di operai e classe meno abbiente, ricordo a costoro - pur sempre poveri - che con un terzo di quei 35 miliardi “recuperati” già si paga un più sostanzioso RdC e si riformano in piena efficienza i centri per l’impiego che potrebbero diventare i migliori d’Europa, mettendo anche a tacere chi divulga interviste su sedicenti - quanto inesistenti - offerte di lavoro, e facendo incontrare una volta e per tutte domanda e offerta. Manderemmo infine tutti a lavorare, visto che il lavoro pare che ci sia (ndr, con nota polemica).

Chiudiamo così quest’altro capitolo dandoci appuntamento al prossimo. Ci avviamo alle conclusioni e parleremo di conseguenze e rimedi che si scatenano, per probabilità o protesta, dalla mancata attuazione delle riforme. Tali situazioni si agganciano ai due capitoli introduttivi di questa trattazione, mostrando gli effetti deleteri e talvolta imprevedibili delle imposizioni innaturali e inique che perdurano nel tempo.



📸 base foto: DALL-E (IA), su input “Riforme e società stile Banksy”, 24/04/2023