Le autorità nazionali non possono obbligare un giornalista a rivelare la fonte. E questo anche quando la rivelazione potrebbe servire a individuare l’autore di un reato. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza depositata il 6 ottobre nella causa Jecker contro Svizzera (ricorso n. 35449/14, AFFAIRE JECKER c. SUISSE) che ha portato alla condanna dello Stato in causa per violazione della libertà di stampa.A rivolgersi a Strasburgo era stata una giornalista che aveva pubblicato un articolo sulla vendita non autorizzata di droghe leggere, svelando notizie fornite da una fonte che aveva chiesto di rimanere anonima. Le autorità inquirenti l’avevano interrogata e le avevano ingiunto di fornire il nome dell’informatore, ritenendo che fosse l’unico modo per individuare gli autori dell’illecito, ma la giornalista si era rifiutata. Se il tribunale cantonale aveva dato ragione alla reporter, non così il tribunale federale svizzero secondo il quale la segretezza delle fonti non può essere opposta nei casi di infrazioni qualificate, in cui sussiste un interesse pubblico rilevante da tutelare. Dal ragionamento del tribunale, quindi, mentre l’indagine per punire un autore di un reato mira a proteggere un interesse pubblico, la tutela della protezione della fonte era fondata unicamente su un interesse privato della ricorrente.La Corte europea ha accolto il ricorso della giornalista accertando che l’ingerenza nella libertà di stampa non era necessaria in una società democratica. Per Strasburgo, infatti, obbligare un giornalista a rivelare una fonte confidenziale è incompatibile con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura la libertà di espressione, salvo in casi eccezionali in cui emerge un preponderante motivo di interesse generale. Questo perché la tutela delle fonti è di importanza fondamentale per garantire la libertà di stampa in una società democratica e, quindi, la divulgazione dell’identità della fonte avrebbe effetti negativi non solo nel singolo episodio, ma anche per le future potenziali fonti dei giornalisti e del quotidiano, con un effetto negativo diretto sull’interesse del pubblico a ricevere informazioni di interesse generale. La Corte ha anche respinto la difesa del Governo elvetico secondo il quale l’ingerenza nella libertà di stampa poteva essere giustificata dall’esigenza di punire la commercializzazione di droghe leggere, obiettivo perseguito dal legislatore. Se, quindi, sul piano nazionale, tra protezione delle fonti per tutelare la libertà di stampa ed esigenze di carattere giudiziario l’ago della bilancia pende a favore di queste ultime esigenze, per Strasburgo, al contrario, l’interesse pubblico a perseguire e punire gli autori del reato deve arretrare di fronte alla libertà di stampa. Inoltre – precisa la Corte europea – le autorità nazionali non hanno dimostrato il preponderante interesse pubblico alla divulgazione della fonte. Non basta, infatti, che il legislatore consideri alcuni reati particolarmente pericolosi per la collettività poiché è necessario, nel caso specifico, giustificare l’esito del bilanciamento tra i diritti in gioco. Ma c’è di più. Per i giudici di Strasburgo, la sola circostanza che l’ordine di divulgazione della fonte serva per individuare l’autore del reato non può giustificare la mancata protezione delle fonti, essenziale per la libertà di stampa.

Questo è quanto ha scritto nell'ottobre 2020 il professore ordinario di diritto internazionale Marina Castellaneta nell'articolo Libertà di stampa: protezione delle fonti blindata a Strasburgo

Perché citare tale articolo?

Perché il Tar del Lazio ha emesso una sentenza che obbliga la Rai a dare all'avvocato Andrea Mascetti gli atti relativi al servizio giornalistico che lo riguardano nell'ambito della puntata di Report, 'Vassalli, valvassori e valvassini', messa in onda il 26 ottobre 2020, in cui viene definito una delle figure “più misteriose” del mondo leghista.

In base a quanto stabilito dal Tar, la Rai, quindi, "dovrà consentire al ricorrente, entro giorni trenta dalla comunicazione o notificazione (se anteriore) della sentenza (18 giugno 2021, ndr), l’accesso agli atti e ai documenti", compresa la "documentazione connessa all’attività preparatoria di acquisizione e di raccolta di informazioni riguardanti le prestazioni di carattere professionale svolte dal ricorrente in favore di soggetti pubblici, confluite nell’elaborazione del contenuto del servizio di inchiesta giornalistica mandato in onda, nello specifico avente ad oggetto la rete di rapporti di consulenza professionale instaurati su incarico di enti territoriali e locali".

Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, ha definito così quanto accaduto:

"La sentenza del Tar del Lazio è gravissima. Viola la Costituzione, viola la libertà di stampa. Una sentenza miope che paragona il lavoro giornalistico a degli atti amministrativi. É come se Ilaria Alpi fosse morta per degli atti amministrativi. Una sentenza che crea di fatto giornalisti di serie A e di serie B: quelli che lavorano nel servizio pubblico non possono tutelare le proprie fonti, gli altri sì. E' un attacco senza precedenti, dovuto alla debolezza delle Istituzioni in generale e alla delegittimazione della politica nei confronti del giornalismo di inchiesta. Report non svelerà le proprie fonti, non darà gli atti a Mascetti, non lo faremo neppure da morti. Devono venire a prenderli con l'esercito.Indigna anche la posizione di alcuni giornali - dice Ranucci - che sorridono di fronte alla sentenza del Tar che impone a dei colleghi giornalisti di rivelare le proprie fonti, come se la libertà di stampa fosse una partita di calcio. E' il classico atteggiamento di chi guarda il dito invece di guardare la luna. Colleghi miopi che non capiscono che oggi può toccare a Report, ma domani può toccare a loro. Ma possono stare tranquilli: noi continueremo a batterci per la libertà di stampa fino alla fine, anche per loro. Se questa sentenza passerà in giudicato, ma non credo sia possibile alla luce delle ultime sentenze della Corte Europea dei diritti dell'uomo, nessuno scriverà mai più né alla Rai né a Report per segnalare notizie né risponderà, perché c'è il rischio che poi il Tar possa obbligare a rivelare le fonti. Su questo mi aspetto un intervento del ministro della Giustizia, che è il custode dell'albo di tutti giornalisti, a meno che non ci sia l'intenzione di creare un albo di giornalisti di serie A e uno di serie B con i giornalisti del servizio pubblico. Non è giusto che una Istituzione nobile come quella del Tar venga mortificata da sentenze del genere".

La Rai ha poi fatto sapere in una nota di aver conferito "mandato  per impugnare innanzi al Consiglio di Stato la decisione con la quale  l'attività giornalistica, ove svolta dal Servizio Pubblico, è stata  inopinatamente assimilata ad un procedimento amministrativo. Rai si  attiverà in ogni sede per garantire ai propri giornalisti il pieno esercizio della libertà d'informazione e la tutela delle fonti".