Il 20 aprile 2018,  la Corte di Assise di Palermo condannava Leoluca Bagarella (28 anni), Antonino Cinà (12 anni), Marcello Dell’Utri (12 anni), Mario Mori (12 anni), Antonio Subranni (12 anni), Giuseppe De Donno (8 anni) e Massimo Ciancimino (8 anni) nel processo in cui erano imputati per la trattativa Stato-mafia. Veniva, invece, assolto l’ex ministro Nicola Mancino, a cui era stato contestato il reato di falsa testimonianza.

Nella sentenza i giudici dichiaravano che "l’improvvisa accelerazione che ebbe l’esecuzione del dottore Borsellino " fu determinata" dai segnali di disponibilità al dialogo – ed in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci – pervenuti a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via D’Amelio!.

Nel capo di imputazione, tra le altre condotte, agli imputati si contestava che "per turbare la regolare attività di corpi politici dello Stato italiano ed in particolare il Governo della Repubblica, usavano minaccia – consistita nel prospettare l’organizzazione e l’esecuzione di stragi, omicidi e altri gravi delitti (alcuni dei quali connessi e realizzati) ai danni di esponenti politici e delle istituzioni – a rappresentanti di detto corpo politico, per impedirne o comunque turbarne l’attività (fatti commessi a Roma, Palermo e altrove a partire dal 1992)".

Oggi,  la Corte d’Assise d’Appello di Palermo ha assolto l’ex senatore Marcello Dell’Utri e gli ufficiali dei carabinieri, Mario Mori, Giuseppe De Donno e Mario Subranni nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-Mafia, ha dichiarato prescritte le accuse al pentito Giovanni Brusca, ha ridotto la pena al boss Leoluca Bagarella e ha confermato la condanna al boss Nino Cinà.  Per Massimo Ciancimino era già arrivata la prescrizione nel corso del processo.

I pm che sostenevano l'accusa, durante la requisitoria, avevano dichiarato che "la celebrazione del presente giudizio ha ulteriormente comprovato l'esistenza di una verità inconfessabile, di una verità che è dentro lo Stato, della trattativa Stato-mafia che, tuttavia, non scrimina mandanti ed esecutori istituzionali perché o si sta contro la mafia o si è complici. Non ci sono alternative".

Secondo i pm - in base a quanto riporta l'agenzia Ansa - il dialogo che gli ufficiali del Ros, tramite i Ciancimino e godendo di coperture istituzionali, avviarono con Cosa nostra durante gli anni delle stragi per interrompere la stagione degli attentati, avrebbe rafforzato i clan spingendoli a ulteriori azioni violente contro lo Stato. Sul piatto della trattativa, in cambio della cessazione delle stragi, sarebbero state messe concessioni carcerarie ai mafiosi detenuti al 41 bis e un alleggerimento nell'azione di contrasto alla mafia. Il ruolo di Mori e i suoi, dopo il '93, sempre nella ricostruzione dell'accusa, sarebbe stato assunto da Dell'Utri che nella sentenza di primo grado venne definito "cinghia di trasmissione" tra i clan e gli interlocutori istituzionali.

Ricapitolando, la Corte d'Appello di Palermo conferma la trattativa Stato-mafia, indicando come colpevoli i mafiosi - almeno quelli ancora in vita - che vi parteciparono. Rimane però un aspetto che a questo punto non è chiaro: chi è che ha trattato per lo Stato, se le persone ritenute colpevoli in primo grado -  Mori, Subranni e De Donno - adesso sono state assolte?