Per avere un'idea della crisi economica che ci attende, dovuta alla pandemia da coronavirus, l'esempio migliore lo offrono gli Stati Uniti, a causa della sua organizzazione di Stato iperliberista, dove libertà e condizione di vita sono proporzionalmente collegate alla quantità di denaro che uno possiede.
E visto che il denaro (inteso come liquidità) è ciò che più conta, le regole sopra riportate non valgono solo per i dipendenti, ma anche per le aziende che offrono lavoro. Quindi, se le prospettive non sono più che rosee, chiudere è la soluzione migliore, anche fallendo.
Secondo quanto riportava martedì il New York Times, le catene dei grandi magazzini Usa - alcune già in crisi per la concorrenza dei giganti dell'e-commerce - a causa dell'attuale lockdown sono in gravissime difficoltà economiche: alcune hanno disdetto gli ordini dai fornitori, altre hanno ritardato i pagamenti fino a 4 mesi, altre pensano di dichiarare lo stato di insolvenza. Tutto questo in poco più di un mese!
Ma anche per quanto riguarda altri settori le cose non vanno meglio negli Stati Uniti, come ha dimostrato il valore negativo sui future di maggio del WTI Usa. Il prezzo al barile del greggio americano, oggi, è sceso fino a 10 dollari. Il problema è che nessuno ha bisogno di consumare energia e di petrolio non si sente la mancanza. Dove era possibile stoccarlo, viene conservato. Ma è chiaro che adesso è inutile estrarlo. Così tutte le aziende chi si occupavano di estrazione, adesso stanno progressivamente chiudendo. Poi, a chiudere, sarà la volta delle aziende che fornivano servizi a quel settore: materiali, analisi e consulenze.
Quelli sopra riportati sono due semplici esempi per capire la portata della crisi economica che ci aspetta e che, nonostante ciò, è comunque difficile prevedere fin d'ora in tutte le sue ramificazioni. Naturalmente non riguarderà solo gli Stati Uniti, ma tutto il mondo e riguarderà anche i beni primari, quelli necessari al sostentamento.
Lo ha ricordato il quotidiano Guardian, riprendendo le dichiarazioni di David Beasley, direttore esecutivo del Programma Alimentare Mondiale (PAM o WFP), rilasciate al Consiglio di sicurezza dell’Onu:
“Devo avvertivi che se non ci prepariamo e non agiamo ora per garantire accesso, evitare carenza di finanziamenti e interruzioni degli scambi, potremmo trovarci ad affrontare in contemporanea più carestie di proporzioni bibliche nell’arco di pochi mesi. ...Non stiamo parlando – ha precisato Beasly al Guardian – di persone che vanno a letto affamate. Stiamo parlando di condizioni estreme, di stato di emergenza... persone che stanno letteralmente andando incontro alla fame. Se non procuriamo loro cibo, quelle persone moriranno. Quella attuale è più di una semplice pandemia, perché sta creando anche una pandemia per fame. Questa è una catastrofe umanitaria e alimentare”.
Al momento sono oltre 30 i Paesi a rischio fame e in 10 di questi, già oggi, più un milione di persone è a un passo della fame.