Nelle ultime ore è girato in rete un intervento di Giorgio Agamben, ad un incontro torinese di una fantomatica Commissione DuPre, dubbio e precauzione – nata da convegni, e il cui portavoce è Freccero.

Ebbene in questo intervento Agamben parte dal refrain che in una situazione di regime non si possano organizzare convegni per la resistenza. I convegni sono infami. I convegni degli altri  "accademici" ovviamente (che sono infami?). E dunque, secondo Agamben, è necessario passare ad altre forme di azione, “più concrete”, cercando di aderire alla “situazione” e trovare il metodo adatto ad essa. Cioè per Agamben, non si può combattere e agire in nome di principi come la democrazia, in quanto la Costituzione, il diritto, hanno "perso" il loro senso. Semmai, è possibile continuare a praticare (generiche) battaglie in nome dei diritti, ma per Agamben lo si può fare solo “tatticamente”, perché secondo lui non ha senso cercare di controbattere con i diritti chi ha abbandonato ogni legalità.

L'avversario, il governo illegale, da Agamben, viene infatti disprezzato come nemico, al massimo apprezzato in quanto rappresentante confuso di una civiltà, o meglio un'inciviltà, alla sua fine. Un avversario (il governo) che utilizza “mezzi così infami, estremi, distruttivi”. Per Agamben, insomma, il governo è un avversario infame, spiritualmente morto, con cui non si possono usare argomenti, né si può cercare di convincerlo. Non potevo credere alle mie orecchie.

Pover uomo l’intellettuale Agamben che deve sopravvivere sotto il povero cielo, e che crede, in quanto “intellettuale”, di avere assolta la non responsabilità di quel che dice. Chi è Agamben? E da dove viene. Sappiamo che tutta la sua attività di filosofo di professione si nutre di citazioni coltissime dalla romanità al totalitarismo che si possono condensare nello stato di eccezione permanente con cui da molti anni paga il suo mutuo.

Sono anni insomma che si allerta, e poco altro, perché il pensatore lascia il suo pensiero aperto, ma il pensiero di Agamben non è aperto, perché se fosse aperto sarebbe in grado di rispondere, politicamente, con un metodo nonviolento, e infatti pure stavolta ha concluso il suo intervento dicendo “conclusioni non posso farne, il pensiero non può concludere, perché il pensiero si esaurisce e si toglie da mezzo una volta raggiunto il suo obiettivo", un pensiero insomma che non è affatto laico, ma particolarmente ostile, perché tende ad affermare il suo principio “aperto” come un “parapaponzi” dove l’eco del “ponzi po” del coro attesta la chiusura di un ritornello. E cos'è il “ponzi po” che riecheggia a Torino ? Lotta con i bracci di pongo e silicone? Disseminazione di dubbi mediante fake news? Sabotaggio come precauzione? L’uso di chat occulte su Telegram per cosa? E quale sarà il metodo “adatto” alla situazione? Alimentare la paranoia di un controllo “eccessivo”, che un corpo sia totalmente "manipolabile"? Eliminare il “nemico”? E con quali "armi"?

Ma trovo ancora più grave il discorso generazionale che sempre Agamben and company hanno espresso durante un’audizione “informale” al Senato della Repubblica il 6 e il 7 dicembre in cui, di fatto, e sempre con la strategia dell’eco di un ritornello, si è associato il Governo, e il presidente del consiglio, allo Stato totalitario di Hitler, mentre le ultime persone che ci raccontano dei campi nazisti, i testimoni, stanno morendo, preparando una generazione futura che ricorderanno forse uno coi baffetti.  La domanda che ci dobbiamo fare seriamente è la seguente: perché Agamben and company sono stati uditi al Senato? Non si fanno commissioni d’inchiesta sugli indizi, tanto meno su indizi di pensiero. Ecco il finto dialogo, il finto colloquio che siamo, il finto pensiero, l'informalità. Quel che presuppone che il parlare insieme sia già un indice di ascolto. Che si possa scegliere di ascoltare o meno a partire dall'odio, di sé e degli altri. E che serva il dialogo con i no-vax alla Belpietro, oggi pubblicato su "La Verità". Il “buon senso” contro il “tu devi”, quell’“imperativo” cui la ragione si sottopone liberamente, il sé, per il quale ne va di sé stessi e degli altri. Eccetera eccetera. La libertà. Perché scomodare Kant. La storia occidentale ha dimostrato fin troppo quanto tremendo e straziante sia stato, e sia tuttora in atto, il processo per arrivare al riconoscimento della persona come qualcuno da rispettare. Ecco.

L’unico interrogativo democratico che cogliamo da Agamben e Belpietro è  il seguente: come può una forza di governo introdurre ipotesi di sovversione nell’assemblea legislativa?  E mi unisco alla domanda sollevata nell’articolo di Giovanni Rodriquez su “Il Foglio” in data otto dicembre: “Chissà se qualcuno in Senato verrà chiamato a rispondere per questo teatrino”, aggiungo io, eversivo?