Esiste la possibilità di migliorare il sistema produttivo di un'azienda a costo zero? Quasi sempre, se non sempre, la risposta è no. Sia che si vogliano cambiare i sistemi di gestione che quelli di produzione è sempre necessario mette mano al portafoglio. La stessa considerazione è valida se un'azienda deve allargare il proprio mercato o riacquistarne le quote perse. Pertanto, gli investimenti sono necessari per continuare a sopravvivere e, come si dice in genere, a stare sul mercato.

Se quanto sopra riportato vale per le aziende, ancor più vale per quella che può essere definita l'azienda delle aziende, lo Stato. Ma lo Stato, come ci ricorda il report del sabato pubblicato da Cgia, ha smesso di investire. Si parla, ovviamente dell'Italia dove gli investimenti pubblici dal 2005 al 2017 hanno subito una contrazione del 20%. Però, se si prende come punto di riferimento il 2009, punta massima di crescita prima della crisi, la riduzione è stata addirittura del 35%.

Secondo il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo, «gli investimenti pubblici sono una componente del Pil poco rilevante in termini assoluti, ma fondamentale per la creazione di ricchezza. Se non miglioriamo la qualità e la quantità delle nostre infrastrutture materiali, immateriali e dei servizi pubblici, questo Paese è destinato al declino.

Senza investimenti non si creano posti di lavoro stabili e duraturi in grado di migliorare la produttività del sistema e, conseguentemente, di far crescere il livello delle retribuzioni medie. Ricordo, altresì, che il crollo avvenuto in questi ultimi anni è stato dovuto alla crisi, ma anche ai vincoli sull’indebitamento netto che ci sono stati imposti da Bruxelles che, comunque, possiamo superare, se, come prevedono i trattati europei, ricorriamo alla golden rule.

Ovvero alla possibilità che gli investimenti pubblici in conto capitale siano scorporati dal computo del deficit ai fini del rispetto del patto di stabilità fra gli stati membri.»



Ma la Cgia, nella sua elaborazione tiene conto anche della spesa per trasferimenti in conto capitale che, in questi ultimi 10 anni, sono invece aumentati del 15,7%. Complessivamente, il totale della spesa in conto capitale (investimenti + trasferimenti) è comunque in calo del 12,7%, attestandosi nel 2015 su un valore nominale pari a 69,1 miliardi di euro.

In buona sostanza lo Stato e gli enti locali hanno ridotto il loro impegno di spesa e a investire ci hanno pensato le grandi aziende pubbliche, ma ciò non ha comunque "pareggiato" i conti.

I settori maggiormente interessati da questa stretta sugli investimenti sono stati in termini nominali la
mobilità (-5,2 miliardi pari a -24,9%), la cultura e la ricerca (4,1 miliardi pari a -47,6%), l’amministrazione generale (-2,3 miliardi di euro pari a -41,8%), le attività produttive e le opere pubbliche (-2,2 miliardi pari a -13,3%).

In controtendenza, invece, solo le reti infrastrutturali che hanno visto aumentare gli investimenti in conto capitale (grazie soprattutto alla realizzazione della rete ferroviaria alta velocità/alta capacità) sia della Pa sia della Spa di 9 miliardi di euro (+76,5%).

Conoscendo adesso questi dati si può capire quanto siano stati inutili certe scelte dei governi degli ultimi tre anni che hanno destinato ai bonus miliardi di euro che, invece, avrebbero potuti essere utilizzati per rilanciare il sistema Paese. Anche se qualcuno vuole affermare che comunque l'attuale livello di Pil è in crescita, va comunque ricordato che tale crescita è dovuta soprattutto alla crescita dell'economia nell'area euro e che la crescita dell'Italia è, in tale area, tra le più basse! E adesso sappiamo anche il perché.