L'attenzione del mondo è inevitabilmente puntata sulle imminenti elezioni presidenziali americane. I commenti dei media, anche italiani, sono soprattutto incentrati sul personaggio Trump e sulle catastrofiche conseguenze che potrebbe avere un suo ingresso alla Casa Bianca.

Quasi nessuno prende in considerazione l'eventualità che, in realtà, anche il successo di Hillary Clinton potrebbe avere effetti disastrosi sullo scenario mondiale.

In politica estera la candidata democratica è considerata un falco e, una volta eletta, è molto probabile che si possa assistere ad un'escalation dell'intervento Usa in Siria, ad una maggiore rigidità nei confronti dell'Iran e, perfino, ad uno scontro con la Russia.


Il sostegno dei neoconservatori

Perché i repubblicani, e fra questi molti neoconservatori, hanno preso le distanze dal candidato del loro partito e non intendono più sostenerlo? Sì, certo Trump è un personaggio a volte impresentabile e crea spesso imbarazzo.

Ma pensate che i neocon si sarebbe lasciati scandalizzare da qualche accusa di molestie sessuali, se non fossero stati sicuri che la loro politica interventista avrebbe avuto concrete possibilità di materializzarsi con l'elezione della Clinton?

Il desiderio di un'America più forte sullo scacchiere mondiale è un sentimento comune ai principali media americani, favorevoli ad un cambiamento di regime in Siria e ad un atteggiamento più duro verso la Russia di Vladimir Putin.

E' una sorta di pensiero dominante, alimentato da fattori emotivi, come le immagini della tragedia che si sta consumando in Siria, e da una certa rivalità con Putin, colpevole di non voler riconoscere la supremazia Usa. Ma, come accadde per l'Iraq nel 2003 e per la Libia nel 2011, non se ne valutano le possibili conseguenze.


Un'escalation in Siria

La creazione di una no-fly zone, con la distruzione della forza aerea e delle postazioni anti-aeree della Siria, spianerebbe la strada alla vittoria dello schieramento formato dal Fronte al-Nusra, nuovo nome dell'al-Quaeda siriana, e dallo Stato Islamico.

La speranza che possano prevalere i ribelli moderati, se mai si sia potuto veramente parlare di una tale categoria, è molto fragile. Se ribelli moderati ci sono stati, fino ad oggi sono serviti solo come una sorta di scorciatoia che ha fatto arrivare agli islamisti radicali armi americane, usate per uccidere i soldati siriani.

Quelli che ci si ostina a definire ribelli moderati, ad Aleppo ed in altre città, fanno parte di una struttura militare controllata dal Fronte al-Nusra, da cui non sembrano intenzionati a prendere le distanze.

Un intervento militare americano che riesca a creare zone sicure, da cui ribelli anti-Assad su posizioni moderate possano continuare a combattere contro il governo di Damasco, è destinato all'insuccesso.


La destabilizzazione della Russia

Altrettanto, se non più, pericolosa una campagna di destabilizzazione nei confronti della Russia, che ancora dispone di un armamento nucleare. Anche riuscendo a rovesciare il regime di Vladimir Putin, uno dei principali obiettivi dei neocon, difficilmente il suo posto potrà essere preso da un leader gradito ai liberal americani, che lasci mano libera al saccheggio dell'economia russa, come accadde negli anni 90.

Al contrario, molto probabilmente si assisterebbe ad una reazione del popolo russo, che sentendosi minacciato potrebbe scegliere un leader ancor più nazionalista di quanto non lo sia Putin, che finirebbe per rappresentare un pericolo ancora maggiore per gli Stati Uniti.


La mancanza di un'opposizione moderata

Con queste prospettive, qualunque sia il risultato delle urne il prossimo 8 novembre, non ci sarà da stare troppo tranquilli. Alla fin fine Hillary Clinton non è quel meno peggio, come molti sostengono.

Una politica interventista sembra essere il minimo comun denominatore di tutti i vari think tank americani che si occupano di politica estera, anche di quelli su posizioni più progressiste.

All'orizzonte non sembra esserci nessun leader politico, che possa coagulare intorno a sé le correnti più moderate, che pur esistono sia all'interno del partito Repubblicano che di quello Democratico. Lo stesso Bernie Sanders, che potrebbe averne avute le caratteristiche, non ha mai fatto della politica estera uno dei suoi cavalli di battaglia e, comunque, ultimamente sembra essersi appiattito sulle posizione della Clinton.

Ma, come spesso accade negli Stati Uniti, difficile mettersi contro quello che è diventato un sentimento comune, come si accorse subito Tocqueville. Oggi se lo si fa, si rischia di essere etichettati come sostenitori di Assad o burattini di Putin.