«Nei mesi scorsi, lo spirito di generosità e di solidarietà che caratterizza la società del Bangladesh si è manifestato molto chiaramente nel suo slancio umanitario a favore dei rifugiati affluiti in massa dallo Stato di Rakhine, provvedendoli di un riparo temporaneo e delle necessità primarie per la vita.
Questo è stato fatto con non poco sacrificio. Ed è stato fatto sotto gli occhi del mondo intero. Nessuno di noi può mancare di essere consapevole della gravità della situazione, dell’immenso costo richiesto di umane sofferenze e delle precarie condizioni di vita di così tanti nostri fratelli e sorelle, la maggioranza dei quali sono donne e bambini, ammassati nei campi-profughi.
È necessario che la comunità internazionale attui misure efficaci nei confronti di questa grave crisi, non solo lavorando per risolvere le questioni politiche che hanno condotto allo spostamento massivo di persone, ma anche offrendo immediata assistenza materiale al Bangladesh nel suo sforzo di rispondere fattivamente agli urgenti bisogni umani.»
Questo il passaggio più importante delle parole del discorso, dal Palazzo Presidenziale di Dhaka, che Papa Francesco ha rivolto come ringraziamento al presidente Sheikh Mujibur Rahman e alle autorità del Bangladesh. Il Papa - per la verità - non ha mai nominato i Rohingya, ma prima di lui lo aveva fatto però il presidente del Bangladesh, nel suo discorso di benvenuto.
L'altro passaggio da sottolineare del discorso del Papa è stato quello in cui ha ricordato che «il Bangladesh è noto per l’armonia che tradizionalmente è esistita tra i seguaci di varie religioni.»
Francesco ha ricordato che «l'atmosfera di mutuo rispetto e un crescente clima di dialogo interreligioso consentono ai credenti di esprimere liberamente le loro più profonde convinzioni sul significato e sullo scopo della vita. Così essi possono contribuire a promuovere i valori spirituali che sono la base sicura per una società giusta e pacifica.»
E questo non è certo poca cosa in «un mondo dove la religione è spesso – scandalosamente – mal utilizzata al fine di fomentare divisione. [Pertanto] questa testimonianza della sua forza di riconciliazione e di unione è quanto mai necessaria.
Ciò si è manifestato in modo particolarmente eloquente nella comune reazione di indignazione che ha seguito il brutale attacco terroristico dell’anno scorso qui a Dhaka, e nel chiaro messaggio inviato dalle autorità religiose della nazione per cui il santissimo nome di Dio non può mai essere invocato per giustificare l’odio e la violenza contro altri esseri umani nostri simili.»