Diversi studi hanno evidenziato una frequente associazione della celiachia con altre patologie autoimmuni, tra cui le malattie della tiroide su base autoimmune, come tiroidite di Hashimoto e morbo di Basedow.

Una revisione della letteratura, pubblicata da poco sulla rivista Nutrients, a firma di Francesca Gorini e Alessandro Tonacci, dell’Istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa, ha esaminato, in base ai dati attualmente disponibili, i meccanismi che possono spiegare l’associazione tra celiachia e patologie tiroidee, soffermandosi sui fattori di rischio condivisi, che comprendono, oltre alla predisposizione genetica, anche il possibile ruolo delle alterazioni del microbiota intestinale e la carenza di vitamina D.

Le recenti acquisizioni sul rapporto tra carenza di vitamina D, disbiosi intestinale e disfunzioni del sistema immunitario, giustificano anche una riflessione sulla possibile rilevanza della supplementazione nella prevenzione primaria della celiachia e delle patologie tiroidee. Tuttavia, secondo gli autori di questa review, mancano ancora studi clinici randomizzati e ricerche longitudinali, che permettano di stabilire definitivamente una relazione causale tra i livelli sierici di vitamina D e l’insorgenza di celiachia e/o patologie autoimmuni della tiroide.


Il ruolo del microbiota intestinale nelle patologie tiroidee e nella celiachia

Diversi studi hanno evidenziato alterazioni del microbiota intestinale sia nei soggetti con patologie tiroidee sia nei soggetti celiaci.

Per quanto riguarda la tiroide i ricercatori evidenziano che, sebbene la patogenesi delle patologie tiroidee a base autoimmune implichi un’interazione tra diversi fattori endogeni ed esogeni, tra cui suscettibilità genetica, fattori ambientali e autoimmunità, l’esistenza riconosciuta di un asse intestino-tiroide e il ruolo dell’intestino come organo rilevante anche sotto il profilo endocrinologico, ha portato all’ipotesi di una correlazione tra microrganismi intestinali e patologie della tiroide.

Per quanto riguarda la celiachia diversi studi, che hanno valutato il microbiota fecale e duodenale nei pazienti celiaci, hanno riscontrato una diminuzione di specie batterie benefiche (Lactobacillus e Bifidobacterium) e un aumento di quelle potenzialmente patogene (Bacteroides, Clostridium, Staphylococcus, Escherichia coli). Tuttavia, altri studi non hanno rilevato differenze significative tra la composizione del microbiota nei soggetti celiaci, che seguivano una dieta senza glutine, e i controlli sani.

Emerge, quindi, un quadro di dati insufficiente per stabilire con precisione il rapporto tra celiachia e modificazioni del microbiota, anche perché gli studi disponibili non comprendono dati fondamentali come le informazioni sul profilo genetico e sulle terapie antibiotiche e probiotiche, che possono influenzare la composizione e il funzionamento del microbiota intestinale.


L’interazione bidirezionale tra celiachia e patologie della tiroide

Nella review si sottolinea che la relazione tra celiachia e patologie tiroidee è bidirezionale, come dimostrato in uno studio di Ventura et al. del 1999, in cui la prevalenza di disturbi autoimmuni negli adolescenti e nei giovani adulti con celiachia è significativamente più alta rispetto alla popolazione generale ed è correlata all’età alla diagnosi, quindi alla durata dell’esposizione al glutine.

La coesistenza della celiachia con altri disordini autoimmuni e viceversa, implica, secondo gli autori, un potenziale ruolo dei peptidi del glutine, che sono l’agente eziologico noto della celiachia, ma che potrebbero anche essere coinvolti, direttamente o indirettamente, nell’insorgenza delle patologie della tiroide, la cui eziopatogenesi è ritenuta multifattoriale, sebbene non completamente chiarita

Nella figura si citano i principali meccanismi diretti e indiretti ipotizzati per spiegare la concomitanza di celiachia e patologie tiroidee a base autoimmune.


Schema dei processi potenzialmente correlati con la coesistenza di celiachia e patologie della tiroide autoimmuni

CTLA4: antigene 4 associato ai linfociti T citotossici; GALT: tessuto linfoide associato all’intestino; HLA: antigene leucocitario umano SNP: polimorfismi a singolo nucleotide. Fonte: Nutrients 2024, 16(11), 1762


Il possibile ruolo della vitamina D

I ricercatori sottolineano come di recente sia stato riconosciuto che la vitamina D, oltre a regolare l’omeostasi del calcio e del fosforo per la salute delle ossa, eserciti anche diverse funzioni extra-scheletriche e possa influenzare lo sviluppo, il decorso clinico e il trattamento di vari disturbi autoimmuni.

Un numero crescente di prove suggerisce l’associazione tra carenza o insufficienza di vitamina D e rischio di patologie tiroidee autoimmuni, sebbene il ruolo immunomodulatore della vitamina D sia stato dimostrato solo in studi sperimentali e manchino attualmente studi prospettici su popolazioni di diverse aree geografiche.

Ci sono poi evidenze dell’influenza dei livelli di vitamina D sulla composizione del microbiota intestinale e viceversa, in quanto alterazioni del microbiota possono influenzare negativamente l’assorbimento della vitamina D.

La relazione tra vitamina D e composizione del microbiota intestinale sembra quindi bidirezionale. Tuttavia, mentre è dimostrato che la vitamina D è coinvolta nella protezione del tratto gastrointestinale, modulando la composizione del microbiota intestinale e il sistema immunitario, non sempre sono stati osservati livelli inferiori di vitamina D nei pazienti celiaci.

Inoltre, l’efficacia dell’integrazione di vitamina D nel trattamento della celiachia, sottolineano gli autori della review, rimane incerta, anche alla luce del fatto che la dieta senza glutine potrebbe normalizzare i livelli sierici di vitamina D.


L’integrazione di vitamina D potrebbe essere utile per i celiaci?

Sebbene le attuali raccomandazioni sull’integrazione di vitamina D siano basate sulla salute scheletrica e non affrontino esigenze specifiche per il corretto funzionamento del sistema immunitario, i risultati degli studi esaminati indicano, secondo gli autori della review, che un’adeguata assunzione di vitamina D potrebbe essere utile per prevenire o trattare anomalie immunitarie.

Per quanto riguarda la celiachia, il ruolo effettivo dell’integrazione di vitamina D deve ancora essere completamente chiarito, così come la possibile influenza della dieta senza glutine sui livelli di vitamina D.

Allo stato attuale, quindi, secondo gli autori di questo studio, l’integrazione con vitamina D va presa in considerazione solo con una personalizzazione del trattamento sulla base di una conoscenza approfondita dei dati clinici del paziente. In questa prospettiva si potrebbero aprire nuovi scenari con l’uso dell’intelligenza artificiale.

“Personalizzare l’integrazione di vitamina D (anche con alimenti funzionali) tramite l’intelligenza artificiale – scrivono gli autori della review – rappresenterebbe un’opzione potente per massimizzare il risultato, riducendo i rischi associati all’ipovitaminosi o, d’altro canto, all’intossicazione da ipervitaminosi, possibile con piani di integrazione di vitamina D errati.”

In definitiva, concludono gli autori, una conoscenza approfondita della prevalenza e dei fattori di rischio delle carenze nutrizionali, in particolare quelle correlate ai livelli di vitamina D, durante il follow-up della dieta senza glutine dovrebbe rappresentare una parte essenziale della gestione della celiachia, per prevenire le conseguenze cliniche degli squilibri nutrizionali.


Fonte: Da Medico e Paziente - Alessandro Visca