Dopo la dichiarazione di ieri di Trump in seguito all'attacco iraniano a due basi militari Usa in Iraq, quello che tutti si chiedono è se il "quasi" stato di guerra tra Usa e Iran sia da considerarsi terminato, almeno nel breve periodo. 

Le parole di Trump, seppure corredate dai soliti avvertimenti di circostanza, hanno dato l'impressione - condivisa da tutti - che per lui la partita fosse conclusa, anche in modo vantaggioso, sebbene nessuno conosca quali siano state le reali finalità all'origine dell'attacco che ha portato all'uccisione del generale Soleimani

Oggi, in risposta, vi è stata la conferenza stampa, coperta dai media statali iraniani, del comandante della Forza aerospaziale del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, il Brigadier generale Amir Ali Hajizadeh.

Il militare ha dichiarato che l'Iran era pronto a sparare centinaia o addirittura migliaia di missili. Nell'attacco alle basi Usa, invece, ne sono stati utilizzati meno di 20.

L'intenzione - ha detto Hajizadeh - non è mai stata quella di uccidere soldati americani, anche se l'operazione avrebbe potuto essere pianificata in modo tale che nel primo attacco ne morissero 500 e molte migliaia se gli Stati Uniti avessero risposto, aggiungendo che l'Iran riteneva che lo scontro avrebbe potuto durare fino ad una settimana, ed aveva così preparato diverse migliaia di missili pronti all'impiego.

Non solo, Hajizadeh ha affermato anche che l'Iran avrebbe lanciato attacchi informatici che hanno disabilitato i sistemi statunitensi per il monitoraggio dei missili durante gli attacchi. Gli americani, invece, sostengono che non sono morti militari Usa perché i sistemi di allarme rapido hanno funzionato in modo efficace.

Da notare che durante la conferenza stampa il Brigadier generale Hajizadeh aveva alle sue spalle le bandiere delle milizie controllate dall'Iran: Hezbollah libanese, Hezbollah iracheno, Hamas...  tra le bandiere vi era anche quella del movimento yemenita degli Houthi con cui Teheran aveva da sempre negato contatti e che è responsabile dei recenti attacchi contro l'Arabia Saudita.

Ali Khamenei, massima autorità in Iran, ha definito gli attacchi alle basi americane uno "schiaffo in faccia" agli Stati Uniti, aggiungendo però che la vendetta per la morte di Soleimani era un "problema diverso".


In attesa di capire se ci saranno sviluppi e sorprese in relazione alla caduta del Boeing ucraino dopo il decollo da Teheran - la tesi dell'incidente non viene esclusa, ma resta poco credibile anche perché l'aereo aveva superato un controllo di routine pochi giorni prima - la sensazione è che sia Washington che Teheran non abbiano alcuna intenzione di farsi la guerra.

Tra l'altro, per quanto riguarda gli Usa, gli alleati nella regione - a partire dai sauditi - potrebbero aver svolto un ruolo in tal senso, non tanto a supporto degli odiati sciiti, quanto per tutelare i propri interessi economici, visto che l'Iran ha ampiamente dimostrato di poter colpire in qualunque momento l'economia saudita, fermando l'estrazione del greggio e le vie di transito dallo stretto di Hormuz.