Ci sono volute più di 24 ore dalla conferenza stampa che aveva ha concluso il vertice tra Usa e Russia, in cui Trump era sembrato a detta di tutti come in balia di Putin, perché il presidente degli Stati Uniti comunicasse ufficialmente, alla stampa e al proprio Paese, di aver sbagliato e di essersi espresso male.

Tutto a causa di un "not" che non è stato pronunciato e che, invece, doveva esserlo: «I said the word "would" instead of "wouldn’t". The sentence should have been "I don’t see any reason why it wouldn’t be Russia"...»


E così, da innocente, Putin è finito per diventare, anche per Trump, responsabile di aver sabotato le elezioni americane e di aver gettato dubbi sull'operato dei servizi di intelligence statunitensi. Non solo. Trump ha anche sollecitato i membri del Congresso a mettere in atto sanzioni più severe, rispetto a quelle già deliberate, contro la Russia.

Perché Trump ha fatto trascorrere più di un giorno per capire il presunto errore che avrebbe commesso durante la conferenza stampa? Perché dopo le critiche dei media, di molti personaggi influenti e di molti dei rappresentanti al Congresso del suo stesso partito, compresi i presidenti delle due Camere, a Trump sono arrivati anche i dati dei sondaggi, con il 55 per cento degli elettori statunitensi che disapprovava ciò che aveva sentito nella conferenza stampa, contro il 37 per cento che invece era favorevole.

A Trump, forse, sono riusciti a far capire che se dopo le elezioni di mezzo termine, che si terranno tra pochi mesi, i rapporti di forza nel Congresso cambieranno, anche per lui governare sarebbe molto più difficile di adesso.

Chissà però se riuscirà a ricordarlo anche nei prossimi giorni.