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TFR (liquidazione) ai neo pensionati: il solito caos e le solite ingiustizie

Il principio base del trattamento di fine rapporto di lavoro, prevede che in tutti i casi di cessazione del suddetto rapporto (licenziamento individuale e collettivo, dimissioni) la legge riconosce ai lavoratori subordinati il diritto di percepire un trattamento di fine rapporto (TFR) – ovvero di un’indennità (somma di denaro). Il suo ammontare viene definito in base alla durata del rapporto lavorativo.

La liquidazione del TFR deve avvenire nei termini previsti dai Contratti Collettivi Nazionali di categoria: se il lavoratore appartiene al settore terziario il suo trattamento di fine rapporto deve essere pagato entro 30 giorni, se invece appartiene alla categoria del commercio il termini diventa di 45 giorni. I termini di pagamento del TFR per i dipendenti pubblici, invece, sono i più lunghi: si parla del 105° giorno se la cessazione del rapporto di lavoro è causata da decesso o inabilità del dipendente, di sei mesi se la cessazione del rapporto di lavoro avviene per raggiungimento dei limiti di età o perché si tratta di contratto a tempo determinato, e 24 mesi in caso di dimissioni volontarie o licenziamento.

Se il datore di lavoro eroga il trattamento di fine rapporto dopo tale termine, dovrà versare all’ex-dipendente anche gli interessi calcolati fino al momento dell’effettivo pagamento.

Le leggi che regolano la materia pensionistica sono illeggibili, ma soprattutto sono caotiche poiché prevedono innumerevoli situazioni che creano soltanto confusione e ingiustizie, sia per chi deve essere pensionato sia per la somministrazione del TFR o liquidazione che dir si voglia: si parla di lavoratori a tempo indeterminato a una certa data, dipendenti di ruolo inquadrati precedentemente ad un’altra data, di lavoratori assunti da una data se dipendenti a tempo determinato e a partire da un’altra data per quelli a tempo indeterminato, e via di questo passo.

Il pagamento della liquidazione, come si è visto più sopra, prevede diversi momenti per il suo pagamento. Mentre per il settore terziario (entro 30 giorni) e il commercio (entro 45 giorni) possono essere accettabili, per quanto riguarda i lavoratori pubblici si è commessa una vera e propria ingiustizia. Infatti, si parte da 105 giorni e si arriva a 24 mesi, ovvero due anni.

Ma in realtà si arriva a 36 mesi (tre anni). Questa affermazione è supportata dalla testimonianza di una lavoratrice pubblica che è andata in pensione il primo febbraio 2017, la quale percepirà la prima rata del TFR il primo febbraio 2019 (dopo due anni) e il saldo il primo febbraio 2020 (dopo tre anni dalla data di pensionamento).

Ora, non è di alcun interesse il ragionamento del legislatore, perché le liquidazioni, che devono essere pagate dal datore di lavoro, sono sempre state versate in tempi molto stretti, si parla di giorni e non di anni.

Tutti coloro che si avvicinano all’agognato riposo, tempo prima fanno progetti sul come utilizzare la propria liquidazione: c’è chi desidera fare il giro del mondo in crociera, chi si vede seduto alla guida di una nuova e bella automobile, chi desidera acquistare un piccolo appartamentino in una località marina o montana, e via dicendo.

Con che coraggio si nega un diritto acquisito nei decenni, comunicando a chi ha già progettato il suo ultimo futuro che i suoi desideri diventeranno delle bolle di sapone che svaniscono in un batter di ciglia?

Con che coraggio si pagano profumatamente dirigenti ministeriali il cui lavoro è trovare inganni attraverso una complicata articolazione normativa per arrivare ad alienare continuamente il cittadino?

A nessun cittadino interessano i “conti” dello Stato e delle sue amministrazioni, sempre in stato di emergenza perché mancano i denari, considerato che ciò comporta sempre, ovunque e comunque la penalizzazione del cittadino che deve ripianare i conti. La politica non mangia i politici, ma i suoi sudditi, che ogni giorno di più affollano i locali delle Caritas, dove si trovano anche tante famiglie, con capofamiglia e consorte teste basse sul piatto di pasta che anche quel giorno sono riusciti a mangiare insieme ai loro figli.

È triste dover tornare ogni volta sulle solite amare realtà e verità che riguardano la casta, ma sinceramente non se ne può fare a meno: ogni elezione politica mette sulla bocca della faccia di bronzo dei candidati il taglio dei loro stipendi, pensioni, benefit e avanti di questo passo, ma che immancabilmente, il giorno dopo il voto questi buoni propositi vanno nel solito dimenticatoio la cui collocazione è nota soltanto a loro.

In questo modo si ricaverebbero un bel po’ di soldi; e se poi aggiungiamo una lotta vera e seria – anche questa cavallo di battaglia per le elezioni – all’evasione fiscale, stimata in 180 miliardi di euro, diventeremmo il Paese più ricco del Pianeta.

Purtroppo, mi sa che noi, popolino, dovremo continuare a sognare e sperare in qualcosa che Tommaso Moro avrebbe chiamato “Utopia”.

Fonte: albertobonfigli.net

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Autore albertob
Categoria Politica
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