Questa è in breve la sostanza delle motivazioni della sentenza di appello sulla trattativa Stato-mafia con la quale si chiude il processo di secondo grado. I giudici di appello scrivono che gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno sono stati assolti insieme agli altri imputati del processo che ha visto sul banco degli imputati Cosa nostra e Stato perché “l'improvvida iniziativa” della trattativa da parte dei Carabinieri fu fatta per “fini solidaristici” ovvero “la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale e di tutela di un interesse generale – e fondamentale – dello Stato”.

Il tutto è scritto testualmente nelle pagine 2073-2074 del provvedimento.

I giudici così scrivono: “Scartata in partenza l’ipotesi di una collusione dei Carabinieri con ambienti della criminalità mafiosa; e confutata l’ipotesi che essi abbiano agito per preservare l’incolumità di questo o quell’esponente politico, deve ribadirsi che, nel prodigarsi per aprire un canale di comunicazione con Cosa Nostra che creasse le premesse per avviare un possibile dialogo finalizzato alla cessazione delle stragi, e nel sollecitare tale dialogo, furono mossi, piuttosto, da fini solidaristici (la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale) e di tutela di un interesse generale – e fondamentale – dello Stato”.

Il collegio ha confermato le condanne per i capimafia Leoluca Bagarella e Antonino Cinà per l’esistenza di una trattativa, che dunque è provata, anche se è definita appunto “improvvida iniziativa” l’azione del Ros. Le sentenze naturalmente quando non si condividono s’impugnano. Noi studiosi però possiamo commentarle. A una prima lettura mi sembra siamo di fronte a motivazioni incoerenti con i fatti. Nella sostanza si giustifica il cedimento dello Stato al ricatto mafioso. Non si approfondisce l'omissione di perquisizioni fondamentali e strettamente obbligatorie. Non ci si sofferma sull'arresto del numero uno di Cosa Nostra Totò Riina giustificata dalla Corte con l'esigenza di non fare "arrabbiare" la mafia stragista.

Ritengo le motivazioni della sentenza “sui generis” con nessun precedente simile che io ricordi.

Mi chiedo e pongo la stessa domanda al lettore: Lo Stato e la nostra democrazia erano (e sono ancora oggi?) cosi deboli da dover trattare con la mafia, per il bene dei cittadini soprattutto dopo le stragi di Capaci e di Via d’Amelio?  Trattare con la mafia è lecito se questo è fatto per il bene dello Stato? D’ora in poi quando corpi istituzionali dello Stato democratico trattano con i mafiosi, potremmo dire che il fine giustifica i mezzi? Questo contesto non fa tremare le colonne portanti dello Stato di diritto?

Ricordo ai più giovani che non parliamo di criminali di bassa lega ma di stragisti e terroristi che hanno avuto in pugno le istituzioni dopo le morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Stiamo parlando di "una stagione" peggiore di quella degli anni di piombo che nei fatti ha attentato alla democrazia e allo Stato di diritto. Abbiamo creato un precedente a dir poco illogico che consentirà nei fatti ad altre componenti dello Stato di poter addurre a propria giustificazione di aver trattato con dei criminali per il bene dello Stato stesso. Per quanto mi riguarda, dal punto di vista giuridico, si è creato un precedente molto pericoloso.


Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.  È oggi uno dei più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali, un autorevole studioso a livello internazionale di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative a livello europeo.