L’analisi dei casi si basa sui resoconti mediatici.

Versilia, La Bussola di Viareggio, località Focette: si tratta di un locale cult, in Italia, dove si sono esibiti artisti stellari. Per smalto e genere di frequentazioni, faceva a gara con la Capannina, di Forte dei Marmi. E’ in quest’ultimo paese che abita una famiglia formalmente convenzionale, in realtà eccentrica, protagonista del primo fatto di cronaca di cui ci occupiamo. 

16 luglio 1989. Vent’anni sono passati dal delitto per cui Viareggio e la sua pineta si portarono addosso una triste aura molto a lungo: quello del dodicenne Ermanno Lavorini, giallo risolto a metà tra pedofilia ed eversione di destra, con aspetti mai chiariti. 

Sono trascorsi i decenni settanta e ottanta, che videro il fulgore versiliano: qualcosa nel frattempo è cambiato, ma la zona è sempre fashion. Maria Luigia Redoli, un passato di cui poco si sa, origini piemontesi, è una cinquantenne a dir poco appariscente: viso dai lineamenti duri e quasi maschili, un corpo formoso e trattenuto da abiti aderenti, minigonne e tacchi d’ordinanza, gioielli vistosi, capelli corti color platino “Monroe”, occhialoni a lenti scurissime, incedere burbanzoso, come di chi sfida il mondo, un mondo come quello che, sia pur smaliziato e non incline a scandalizzarsi, pure un po’ la nota e ne mormora. La donna è sposata con Luciano Iacopi, quasi settantenne, definito agente immobiliare e possidente, in odore di strozzinaggio, con un discreto patrimonio stimato in circa sette miliardi di lire. Ci sono anche due figli, Tamara di 18 anni e Diego di 14: la giovane a stento si distingue dalla madre, poiché ne imita il look in ogni minimo dettaglio, compresa la tinta dei capelli.

Quella notte mamma e figlioli, che appaiono molto uniti e girano spesso insieme, vanno a cena fuori e a ballare appunto a La Bussola; con loro c’è il ventiquattrenne, ex macellaio, ora carabiniere a cavallo, di origini laziali, Carlo Cappelletti, che addestra un piccolo numero di equini ma, da quando si accompagna alla maliarda, ha visto di molto migliorare il suo tenore di vita. E’ un giovanottone alto e robusto, viso da fanciullo, che si vanta della conquista (“una bella cavalla”) come succede tra maschi idioti, con la predisposizione al mondo ippico in cui si è sempre mosso, ma da lei soggiogato, in cambio del benessere che ne riceve.

E lo Iacopi, dov’è? Ci raccontano da sempre che quel giorno, dopo il pranzo e il pomeriggio passato con la sua amante nella lontana Follonica, sia tornato nella casa coniugale, una villetta a Forte, vivo almeno fino alle 21,45. Era una famiglia così, abbiamo premesso: dove, stando ad alcuni media, si agitava lo spettro della separazione legale desiderata da lui, che già aveva voluto quella dei beni, qualche tempo prima. Tali circostanze avrebbero allarmato Luigia, avvezza a un treno di vita dispendioso, dalle esigenze esorbitanti, che comprendevano una spessa frequentazione di maghi e cartomanti, forse indebitata.

Dopo la cena al ristorante “San Domingo”, e qualche ora di danze,  verso le due e trenta notturne il quartetto torna dalla discoteca; Carlo scende prima, nell’ alloggio alberghiero pagato dalla sua matura amante; i tre proseguono verso casa; Luigia scende dall’auto per aprire la porta del garage; apertola, gira sui soliti tacchi e annunzia ai ragazzi, mantenendosi composta, senza un plissé “ vostro padre è morto”. Lei stessa chiama subito i Carabinieri, che si trovano dinanzi il bolso corpo dello Iacopi, prono sul pavimento, attinto da diversi colpi ( 17, dirà l’autopsia), presumibilmente di un coltello da cucina che, al solito, non verrà mai trovato; parimenti, non si rinviene il portafoglio del defunto, di solito sistemato nella tasca posteriore dei calzoni, come viene fatto prontamente notare dalla Redoli in persona.

Il defunto sembra non godesse di molte simpatie, sia per la presunta attività di usura, che come locatore esigente e facile ai litigi con gli inquilini, tanto che, leggenda vuole, alla notizia della sua morte in molti avrebbero brindato. Ed è per questo che le indagini, a tutta prima, si avviano in quella direzione: vendetta, magari di un debitore o locatario insolvente e in rancoroso contrasto con Luciano, ma, a quanto pare, non emerge nulla, come era scontato. Chi avrebbe mai ammesso debiti e malanimo con uno che è appena stato ucciso? Va da sé che, a questo, punto, si punti sulla prorompente vedova, che oggi sarebbe definita una cougar, una milf.

Parte la perquisizione e si trovano addirittura, nella camera della adolescente Tamara, lei pure amante dell’esoterico, foto del padre e pupazzi trafitti da spilloni, oltre a un’oscura scritta di morte su un foglio; il chiacchiericcio riferisce di una aperta ostilità della giovane verso lo Iacopi; il movente c’è, un’eredità a rischio di sfumare per un possibile divorzio, oltre al desiderio di Luigia, godersi la vita col giovane Cappelletti, immortalato in sua compagnia in molte immagini che trasudano allegria (almeno durante quei primi mesi di relazione). Parte dunque l’accusa di omicidio per la coppia (lei mandante, lui esecutore), che in un primo tempo coinvolge anche la figlia. Poco amichevoli si mostrano anche i maghi e maghetti che alla Redoli avevano spillato bei soldoni; una dichiara apertamente che l’imputata aveva intenzioni uxoricide, un altro, di essere stato pagato per trovare dei sicari: messo alle strette dai giornalisti, dichiarerà di averle dato corda per incassare l’anticipo, che poi si è tenuto senza fare nulla ( nessun reato, per lui?). In tutta la baraonda mediatica che ne seguì, non poteva mancare l’epiteto per la accusata, sempre altera e mai doma Maria Luigia: la Circe della Versilia, in omaggio al suo debole per la magia.

In prima battuta le accuse sembrano non reggere e ne esce un’assoluzione, anche perché il carabiniere in quei giorni aveva un gesso al braccio destro, a seguito del calcio di un cavallo e si opinò che non avrebbe potuto ben manovrare in quelle condizioni, non essendo né mancino né ambidestro; ma esse vengono riproposte (solo per i due amanti) con nuovi elementi, segnatamente due: le chiavi di casa di Luciano, trovate su un ripiano dell’ingresso dell’appartamento al piano superiore, e la porta dell’abitazione chiusa con quattro mandate (ma non se n’ erano accorti prima?). Viene dunque ricostruito il crimine

Alle 21.45 Iacopi è appunto ancora in vita, come testimonia la sua donna, che dichiara di avergli parlato al telefono, commentando il lauto pranzo che lei gli aveva preparato nel corso della giornata trascorsa insieme: di talché lui aveva espresso l’intenzione di non cenare, perché satollo delle abbondanti libagioni a due, limitandosi a una birra prima di coricarsi. Proprio a quell’ora sarebbero arrivati Luigia e Carlo; lei avrebbe richiamato il marito  dabbasso, dove appunto erano i due garage, con una scusa; nell’oscurità il giovane militare, ragazzone alto e forte, avrebbe agito senza problemi, trattenendo Iacopi con il braccio ingessato per un verso, sferrando con la sinistra le coltellate, a partire dal ventre che, particolare a lui noto come ex macellaio, fa sprizzare poco sangue; con la vittima a terra, avrebbe infierito, sotto lo sguardo vigile di Luigia. Il lago di sangue si sarebbe esteso intorno al corpo esanime con una certa uniformità, consentendo agli assassini di evitare di calpestarlo, per questo non si sarebbero trovate impronte, solo alcune macchioline sulle scalette e la porticina che mettevano in comunicazione il piano terra e la soprastante abitazione, la cui porta d’ingresso Redoli provvedeva a chiudere con il suo mazzo di chiavi, con gesto automatico, senza considerare il meccanismo logico che avrebbe portato a sospettarla. Un terzo mazzo era nascosto nel secondo box, e con quello erano tre, dunque solo lei poteva chiudere quella porta blindata. Di seguito i killer sarebbero fuggiti lestamente, recandosi al night con i due ragazzi, per procurarsi un alibi. A entrambi fu comminato l’ergastolo. I filmati dell’epoca ci mostrano la signora impassibile, mentre viene portata via senza un moto dei muscoli facciali, né una dichiarazione; Carlo purtroppo aggraverà la propria posizione, asserragliandosi in casa in preda a un finto malore, aggredendo – per fortuna senza gravi conseguenze -  con un coltello, un ex collega carabiniere entrato per soccorrerlo, poi sparando dei colpi in aria e gettandosi da una non troppo alta finestra: una serie di sconsideratezze che gli varranno una pena supplementare. Gli “amanti diabolici”, rimasti uniti fino a quel momento, non avranno più contatti.  -

Continua...