Lunedì prossimo, Donald Trump – con il consueto stile da palcoscenico – parlerà al telefono con Vladimir Putin. L'annuncio, arrivato sul social Truth, è stato scritto come al solito tutto in maiuscolo e condito da punti esclamativi. Il tycoon ha promesso che il colloquio si concentrerà su due punti: «porre fine al bagno di sangue» tra Russia e Ucraina e... il commercio. Sì, commercio. Perché nell'America "grande di nuovo" targata Trump, affari e guerra vanno a braccetto, e non ci si dovrebbe stupire se migliaia di morti vengono messi sullo stesso piano delle esportazioni.

L'uscita è scioccante solo per chi si ostina a cercare coerenza morale nella politica trumpiana. Per lui il pragmatismo, spesso travestito da cinismo, è la norma: se può chiudere un conflitto e intanto intavolare trattative commerciali, lo fa. Poco importa se le cifre snocciolate sul numero di vittime siano discutibili: 5.000 soldati russi e ucraini a settimana sono probabilmente un'esagerazione, ma servono a dare la sensazione di urgenza. E a ribadire che solo lui – nel suo immaginario – può mettere fine a questa follia.

Dopo aver parlato con Putin, Trump ha annunciato che sentirà anche Zelensky, e infine coinvolgerà «vari membri della NATO». A gestire i retroscena, però, è stato il segretario di Stato Marco Rubio, che ha già parlato con il russo Sergei Lavrov. Messaggio chiaro: Trump vuole un cessate il fuoco immediato, seguito dal suo piano. Niente giri di parole, niente mediazioni multilaterali: è una linea diretta, e chi non si allinea rischia di essere tagliato fuori.

Trump vuole far pagare a Putin il forfait al vertice di Istanbul, e per farlo lo vuole incastrare in un impegno concreto. Il messaggio è velenoso e personale: «Putin è esausto, tiene alla sua immagine, e tutto questo doveva finire in una settimana», ha detto alla Fox. Poi la stoccata militare, tanto per mettere il dito nella piaga: «Se non si fossero impantanati nel fango con i carri armati, sarebbero arrivati a Kiev in cinque ore». Una frase che sa di scherno, ma anche di sfida. Trump sta dicendo a Putin: è finita, non puoi vincere. Prendi quello che puoi e firma.

La carta che Trump sembra pronto a giocare è quella delle sanzioni secondarie: colpire i Paesi che ancora fanno affari con la Russia usando materie prime russe. Una mossa che potrebbe piegare definitivamente l'economia di Mosca. Ma anche qui, Trump gioca al poliziotto buono: «Non è quello che voglio. Preferirei un accordo». È la sua diplomazia bifronte: prima ti spavento, poi ti offro una via d'uscita. E magari ci faccio pure affari.

Difficile dire se Mosca sia disposta a cedere. Ma con l'economia a pezzi e il conflitto che si trascina da oltre tre anni, forse anche Putin inizia a capire che l'opzione militare non porterà a nessun trionfo. La Russia potrebbe mostrarsi ricettiva, se l'offerta americana prevede il congelamento del conflitto su posizioni territoriali già acquisite.

Il vero problema è l'Ucraina. Zelensky, sempre più isolato, ha parlato di «occasione sprecata» a Istanbul e continua a chiedere sanzioni più dure contro Mosca. Ma se gli Stati Uniti decidono di cambiare linea, difficilmente Kiev potrà opporsi. Il rischio concreto è che si torni a parlare di concessioni territoriali che finirebbero per sancire una dolorosa sconfitta mascherata da tregua.

Intanto, i colloqui in Turchia – per quanto sottotono – hanno riaperto un canale diretto tra le parti. La Russia presenterà presto la sua proposta di tregua, e lo scambio di prigionieri previsto (mille per parte) potrebbe essere il primo passo verso un nuovo vertice. Ma il Cremlino ha già chiarito che un incontro tra Putin e Zelensky avverrà solo in presenza di «risultati tangibili».

Nel frattempo, la guerra continua a mietere vittime. L'ultima strage a Sumy – nove civili uccisi in un attacco russo – ha riportato alla ribalta l'orrore quotidiano del conflitto. Intanto, a Roma per l'intronizzazione del Papa con cui avrà un colloquio, Zelensky cerca alleati per evitare che il futuro dell'Ucraina venga deciso sopra la sua testa, al telefono, tra due uomini che vedono il mondo come un gigantesco tavolo da poker.

Trump sta cercando di trasformare una tragedia internazionale in una trattativa personale, come fosse un affare immobiliare. Putin è esausto, Zelensky è sotto pressione, e l'Europa rischia di essere tagliata fuori. È uno scenario instabile, ma perfetto per un uomo che ha sempre prosperato nel caos.

Lunedì, quella telefonata sarà molto più di una chiacchierata tra due presidenti: sarà il prossimo atto di una partita che nessuno può permettersi di perdere, ma che qualcuno è pronto a chiudere, costi quel che costi.