Come era lecito aspettarsi, nonché auspicabile, anche la mattina del sesto giorno vede sorgere il sole, e dopo qualche tentennamento iniziale che evidenzia quanto un minimo di apatia stia facendo inevitabilmente breccia nel mio regime di isolamento forzato, rompo gli indugi e mi preparo; una rapida incursione al bagno, barba, mi vesto, l’ormai consueta visita al punto di raccolta per ritirare la colazione sempre gentilmente offerta dalla struttura, e i soliti quattro passi di rito nel tentativo di riallenare la mente oltre al fisico. Durante questo esercizio che mi sottrae più tempo del previsto, un ricordo sovviene in mio soccorso: questo dovrebbe essere il penultimo giorno di detenzione, quindi questa sera avrò il colloquio con l’avvocato d’ufficio per rivedere la nostra strategia difensiva in vista dell’interrogatorio di domani con il Gip (giudice per le indagini preliminari), che dovrà decidere sulla mia eventuale scarcerazione; tradotto: farò un tampone “casalingo” per valutare preliminarmente la mia posizione sanitaria rispetto al covid e decidere se presentarmi davanti al giudice o chiedere il rinvio.
La prospettiva è allettante e inquietante allo stesso tempo, ma faccio spallucce e mi dedico all’attività riabilitativa prevista per oggi: pulizia della cella. Vengo fornito di aspirapolvere, alcool e panno cattura polvere; poche utili istruzioni sull’uso, sempre a debita distanza, e inizio di buona lena. Dopo pochi minuti il lavoro è pressoché terminato, ma faccio un’altra passata per poter puntare sulla buona condotta se le cose dovessero mettersi male…
L’attività appena svolta mi favorisce l’appetito, e questa volta il pranzo è il benvenuto; breve sonnellino, un estemporaneo e inatteso acquazzone estivo, l’ormai abituale videochiamata familiare per fare il punto sul nuovo itinerario vacanziero, e mi dirigo verso la stanza dei colloqui per incontrarmi con l’avvocato. Salgo e scendo nervosamente lo stesso gradino mentre cerco di praticare un po’ di training autogeno per tenere alta la concentrazione; arriva il mio turno: entro e mi siedo. Pochi istanti ed esco sconsolato: l’avvocato crede sia meglio rinviare l’interrogatorio; non mi vede ancora pronto. E mentre mi pongo domande sulla reale attendibilità del mio difensore, l’avv. Tampone, mi dirigo di nuovo verso la mia cella, scortato dai carcerieri con i quali ormai condivido momenti NEGATIVI e POSITIVI della mia detenzione.
Mille domande affollano la mia mente, ma presto dubbi e incertezze lasciano il posto alle imprecazioni; fino a giungere alla stessa conclusione di Rossella O’Hara: dopotutto domani è un altro giorno…
Dopotutto, infatti, arriva anche il settimo giorno, che inizia all’insegna di un’indolenza incontrollata e incontrollabile accompagnata da un senso di latente intorpidimento; so già che passerò almeno altre 24 ore di reclusione, anche perché ho stabilito con l’avvocato Tampone che oggi non ci rivedremo, ritenendo più opportuno rivalutare separatamente la memoria difensiva e, soprattutto, lasciar decantare la delusione …
Quindi provo a distrarmi con un minimo di risveglio muscolare saltellando tra un listellino del parquet e l’altro, durante il quale mi cade l’occhio su un paio di scarpe sportive accampate ordinatamente in uno dei quattro angoli della cella, e subito un pensiero si fa largo senza incontrare resistenza: quanto tempo è passato…; decido di apportare modifiche estetiche al Blog, ma i tempi biblici del mio notebook “quantistico” contribuiscono all’abbandono del proposito; uno sguardo fuori dalla finestra e parte un’imprecazione: “Accidenti, neanche una maledetta finestra sul cortile…”, per poter almeno spiare i vicini e scoprirne segreti inconfessabili e smascherare dispetti e ripicche reciproche; soltanto un’anonima stradina di accesso ai garage e una vigna in lontananza…
Intanto sul comò sembrano comparire le prime forme di vita aliena: spero siano soltanto macchie; pranzo, merenda con gli avanzi di colazione e pranzo, e infine cena; provo ad accorciare l’attesa del giorno successivo cercando di dormire, raggiungendo lo scopo in men che non si dica.
E venne il giorno, l’ottavo, almeno credo, dato che sto ormai perdendo qualunque cognizione spazio-temporale. Mi fingo comunque rilassato e disincantato, abbandonato ad un docile fatalismo; mi preparo per l’ultimo colloquio con l’avvocato Tampone, incoraggiato dai carcerieri che mi accompagnano. Traspare ottimismo, ma non voglio farmi illusioni; la chiacchierata dura pochi minuti, e questa volta sembrano esserci i presupposti per potermi presentare davanti al giudice per sostenere l’interrogatorio che potrebbe sancire la mia definitiva scarcerazione.
Mi vesto per l’occasione e vado incontro al mio destino; in sala d’attesa ripasso la linea difensiva e riempio moduli, ma l’attesa è snervante. Finalmente arriva il mio momento: entro, saluto e comincio a rispondere puntualmente a tutte le domande del giudice, senza esitazione, tanto che l’interrogatorio dura meno del previsto. Vengo accompagnato ed invitato ad attendere fuori la decisione finale; il tempo sembra non passare mai, ma alla fine arriva la sentenza: NEGATIVO.
In poco tempo si sparge la voce, e quando rientro trovo un drappello di familiari che mi accoglie come un trionfatore; ringrazio quasi commosso, saluto i carcerieri mentre riprendo i miei effetti personali e capisco che stanno già preparando la stanza per altri eventuali ospiti; saluto i cani, che ancora non hanno capito le vere ragioni dell’isolamento, e assaporo la libertà: la giustizia ha trionfato ancora!
Paolo Scafati