È stato il NYT,  tramite una fonte anonima informata sui fatti, a rivelare che la Russia sarebbe costretta a rifornirsi di armi (convenzionali) dalla Corea del Nord.

Secondo quanto riportato dal quotidiano statunitense, Mosca avrebbe acquistato razzi e munizioni per la propria artiglieria, dopo aver ricevuto, la scorsa settimana, la prima fornitura di droni iraniani.

Tre le considerazioni, a questo punto, dando per certa la notizia. La prima è che le sanzioni occidentali abbiano effettivamente ridotto le capacità produttive della Russia che non ha ancora trovato fornitori o soluzioni alternative per la fabbricazione d nuove armi, almeno ad un ritmo tale da poter soddisfare le esigenze belliche.

La seconda considerazione è relativa all'andamento dell'invasione dell'Ucraina. Il ricorso a Iran e Corea del Nord dimostra che la Russia non aveva minimamente calcolato la possibilità che Kiev potesse resistere ad un attacco militare così a lungo.

La terza riguarda le risorse di Mosca. Difficile dire quanto e per quanto a lungo le sanzioni imposte alla Russia potranno danneggiarne l'economia. Di certo, però, la Russia ha potuto finora ridurne l'effetto tramite la vendita dei propri combustibili fossili che, grazie alla speculazione, avrebbe consentito di farle  guadagnare 158 miliardi di euro, secondo un centro studi tank finlandese che si occupa di temi legati all'energia.

Con l'interruzione della fornitura di gas dal Nord Stream che, in base alle dichiarazioni del portavoce del Cremlino Peskov ormai sarebbe legata alla durata delle sanzioni inflitte a Mosca, parte delle risorse finanziarie che hanno finora supportato Mosca verranno meno. 

A questo punto, resta da capire quale sarà la nuova strategia di Putin per fronteggiare l'occidente e salvaguardare la stabilità economica e politica all'interno del suo Paese. In ogni caso, quello di cui già fin d'ora possiamo esser sicuri è che il presidente russo sta mettendo in atto un piano da lui già studiato e ritenuto sostenibile che gli dovrebbe consentire di continuare a sostenere la guerra in Ucraina, nella speranza, anche, di un default economico e politico dell'Europa.