Sabato, Juan Guaidó si era prima appellato ai militari venezuali, rivolgendosi loro mentre si trovava nei pressi di un magazzino nella città colombiana di Cucuta, dove sono state stoccate circa 600 tonnellate di aiuti, tra cibo in scatola e medicinali, per lo più fornite dagli Stati Uniti, per consentirne l'ingresso in Venezuela.

Poi, l'autonominatosi presidente, era salito su un semirimorchio per salutare i sostenitori in una cerimonia che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto dare il via al passaggio del convoglio di aiuti umanitari da Cucuta a Urena, la città che si trova sull'altra sponda del confine segnato dal Rio Tachira, in territorio venezuelano.

Nel frattempo, i manifestanti venezuelani avevano provato a parlare con le forze di sicurezza agli ordini di Maduro che presidiano i valichi di confine sui ponti Francisco de Paula Santander e Simon Bolivar perché lasciassero passare gli aiuti, iniziando anche a rimuovere le barricate che ne impediscono il transito. Ma non c'è stato nulla da fare.

Alla prova di forza pacifica di Guaidó, che con il passaggio degli aiuti pensava così di poter rimuovere lo stallo politico attuale in Venezuela dove due presidenti si contendono il potere, Maduro ha deciso di rispondere con la forza. Le forze dell'ordine venezuelane hanno così lanciato lacrimogeni per disperdere la folla dei manifestanti, ripetendo quanto era accaduto, per gli stessi motivi, anche a sud nella città di Santa Elena de Uairen, vicino al confine con il Brasile, dove almeno due persone sono rimaste uccise e altre 21 ferite per le manifestazioni legate al passaggio degli aiuti umanitari.

Nel frattempo, parlando a Caracas ai suoi sostenitori riuniti in una delle sempre più frequenti manifestazioni che si svolgono in Venezuela a sostegno dell'attuale regime, il presidente Maduro ha detto che la sua pazienza si era esaurita, annunciando anche di aver interrotto i rapporti diplomatici con la Colombia e di aver concesso ai diplomatici di quella nazione 24 ore per lasciare il Paese.

Secondo Maduro, gli aiuti umanitari sono parte di un complotto guidato dagli Stati Uniti per estrometterlo dal potere e per giustificare una possibile invasione militare. La Colombia avrebbe acconsentito a tale piano e per tale motivo Maduro ha deciso di interrompere le relazioni diplomatiche.

Guaidó aveva ripetuto gli appelli affinché l'esercito si unisse a lui nella lotta contro la "dittatura" di Maduro e secondo quanto riportato dalle autorità colombiane più di 60 soldati hanno disertato, abbandonando le loro postazioni al confine. Ma questo è l'unico risultato ottenuto. Le forze venezuelane sono ancora fedeli a Maduro.

A fine giornata, Guaidó ha poi twittato che gli eventi di sabato lo avevano spinto ad invitare i venezuelani a sospendere le manifestazioni, aggiungendo però che si sarebbe accinto a proporre in modo formale alla comunità internazionale di valutare tutte le opzioni disponibili per liberare il Venezuela dalla dittatura di Maduro.


Attualmente sono oltre 50 i governi in tutto il mondo che hanno riconosciuto Guaidó. Appelli a entrambe le parti per trovare un accordo ed evitare violenze sono giunti anche dal segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres.

Il problema, però, è che il forte nazionalismo che anima i Paesi sudamericani e tra questi il Venezuela non può che finire per essere alimentato dagli ultimatum di Guaidó che per una parte della popolazione venezuelana viene considerato come un pupazzo guidato da Washington. Così gli inviti da parte degli Usa diretti ai generali delle forze armate venezuelane invece di indurli a farli disertare insieme alle loro truppe, finiscono per ottenere il risultato opposto, rafforzando in loro il convincimento che sia necessario continuare a supportare Maduro.